Dante
Alighieri
La
Divina Commedia
Illustrata da Gustave
Doré
Inferno
1. 1 Nel mezzo del
cammin di nostra vita
1. 2 mi
ritrovai
per una selva oscura
1. 3
ché la diritta
via era smarrita.
1. 4 Ahi quanto
a
dir qual era è cosa dura
1. 5 esta selva
selvaggia e aspra e forte
1. 6 che nel
pensier rinova la paura!
1. 7
Tant'è amara
che poco è più morte;
1. 8 ma per
trattar
del ben ch'i' vi trovai,
1. 9
dirò de
l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
1. 10 Io non so
ben
ridir com'i' v'intrai,
1. 11 tant'era
pien
di sonno a quel punto
1. 12 che la
verace
via abbandonai.
1. 13 Ma poi
ch'i'
fui al piè d'un colle giunto,
1. 14
là dove
terminava quella valle
1. 15 che
m'avea di
paura il cor compunto,
1. 16 guardai
in
alto, e vidi le sue spalle
1. 17 vestite
già
de' raggi del pianeta
1. 18 che mena
dritto altrui per ogne calle.
1. 19 Allor fu
la
paura un poco queta
1. 20 che nel
lago
del cor m'era durata
1. 21 la notte
ch'i' passai con tanta pieta.
1. 22 E come
quei
che con lena affannata
1. 23 uscito
fuor
del pelago a la riva
1. 24 si volge
a
l'acqua perigliosa e guata,
1. 25
così l'animo
mio, ch'ancor fuggiva,
1. 26 si volse
a
retro a rimirar lo passo
1. 27 che non
lasciò già mai persona viva.
1. 28 Poi ch'ei
posato un poco il corpo lasso,
1. 29 ripresi
via
per la piaggia diserta,
1. 30
sì che 'l piè
fermo sempre era 'l più basso.
1. 31 Ed ecco,
quasi al cominciar de l'erta,
1. 32 una lonza
leggiera e presta molto,
1. 33 che di
pel
macolato era coverta;
1. 34 e non mi
si
partia dinanzi al volto,
1. 35 anzi
'mpediva
tanto il mio cammino,
1. 36 ch'i' fui
per
ritornar più volte vòlto.
1. 37 Temp'era
dal
principio del mattino,
1. 38 e 'l sol
montava 'n sù con quelle stelle
1. 39 ch'eran
con
lui quando l'amor divino
1. 40 mosse di
prima
quelle cose belle;
1. 41
sì ch'a bene
sperar m'era cagione
1. 42 di quella
fiera a la gaetta pelle
1. 43 l'ora del
tempo e la dolce stagione;
1. 44 ma non
sì che
paura non mi desse
1. 45 la vista
che
m'apparve d'un leone.
1.
46 Questi parea
che contra me venisse
1.
47 con la
test'alta e con rabbiosa fame,
1.
48 sì che parea
che l'aere ne tremesse.
1 49
Ed una lupa,
che di tutte brame
1.
50 sembiava
carca ne la sua magrezza,
1.
51 e molte genti
fé già viver grame,
1.
52 questa mi
porse tanto di gravezza
1.
53 con la paura
ch'uscia di sua vista,
1.
54 ch'io perdei
la speranza de l'altezza.
1.
55 E qual è quei
che volontieri acquista,
1.
56 e giugne 'l
tempo che perder lo face,
1.
57 che 'n tutti
suoi pensier piange e s'attrista;
1.
58 tal mi fece
la bestia sanza pace,
1.
59 che,
venendomi 'ncontro, a poco a poco
1.
60 mi ripigneva
là dove 'l sol tace.
1.
61 Mentre ch'i'
rovinava in basso loco,
1.
62 dinanzi a li
occhi mi si fu offerto
1.
63 chi per lungo
silenzio parea fioco.
1.
64 Quando vidi
costui nel gran diserto,
1.
65 «Miserere
di me», gridai a lui,
1.
66 «qual che tu
sii, od ombra od omo certo!».
1.
67 Rispuosemi:
«Non omo, omo già fui,
1.
68 e li parenti
miei furon lombardi,
1.
69 mantoani per
patria ambedui.
1.
70 Nacqui sub
Iulio, ancor che fosse tardi,
1.
71 e vissi a
Roma sotto 'l buono Augusto
1.
72 nel tempo de
li dèi falsi e bugiardi.
1.
73 Poeta fui, e
cantai di quel giusto
1.
74 figliuol
d'Anchise che venne di Troia,
1.
75 poi che 'l
superbo Ilion fu combusto.
1.
76 Ma tu perché ritorni
a tanta noia?
1.
77 perché non
sali il dilettoso monte
1.
78 ch'è
principio e cagion di tutta gioia?».
1.
79 «Or se' tu
quel Virgilio e quella fonte
1.
80 che spandi di
parlar sì largo fiume?»,
1.
81 rispuos'io
lui con vergognosa fronte.
1.
82 «O de li
altri poeti onore e lume
1.
83 vagliami 'l
lungo studio e 'l grande amore
1.
84 che m'ha
fatto cercar lo tuo volume.
1.
85 Tu se' lo mio
maestro e 'l mio autore;
1.
86 tu se' solo
colui da cu' io tolsi
1.
87 lo bello
stilo che m'ha fatto onore.
1.
88 Vedi la
bestia per cu' io mi volsi:
1.
89 aiutami da
lei, famoso saggio,
1.
90 ch'ella mi fa
tremar le vene e i polsi».
1. 91
«A te convien
tenere altro viaggio»,
1. 92 rispuose,
poi
che lagrimar mi vide,
1. 93
«se vuo'
campar d'esto loco selvaggio:
1. 94
ché questa
bestia, per la qual tu gride,
1. 95 non
lascia
altrui passar per la sua via,
1. 96 ma tanto
lo
'mpedisce che l'uccide;
1. 97 e ha
natura
sì malvagia e ria,
1. 98 che mai
non
empie la bramosa voglia,
1. 99 e dopo 'l
pasto ha più fame che pria.
1.100 Molti son
li
animali a cui s'ammoglia,
1.101 e
più saranno
ancora, infin che 'l veltro
1.102
verrà, che la
farà morir con doglia.
1.103 Questi
non
ciberà terra né peltro,
1.104 ma
sapienza,
amore e virtute,
1.105 e sua
nazion
sarà tra feltro e feltro.
1.106 Di quella
umile Italia fia salute
1.107 per cui
morì
la vergine Cammilla,
1.108 Eurialo e
Turno e Niso di ferute.
1.109 Questi la
caccerà per ogne villa,
1.110 fin che
l'avrà rimessa ne lo 'nferno,
1.111
là onde
'nvidia prima dipartilla.
1.112 Ond'io
per lo
tuo me' penso e discerno
1.113 che tu mi
segui, e io sarò tua guida,
1.114 e
trarrotti
di qui per loco etterno;
1.115 ove
udirai le
disperate strida,
1.116 vedrai li
antichi spiriti dolenti,
1.117 ch'a la
seconda morte ciascun grida;
1.118 e vederai
color che son contenti
1.119 nel foco,
perché speran di venire
1.120 quando
che
sia a le beate genti.
1.121 A le quai
poi
se tu vorrai salire,
1.122 anima fia
a
ciò più di me degna:
1.123 con lei
ti
lascerò nel mio partire;
1.124
ché quello
imperador che là sù regna,
1.125 perch'i'
fu'
ribellante a la sua legge,
1.126 non vuol
che
'n sua città per me si vegna.
1.127 In tutte
parti impera e quivi regge;
1.128 quivi
è la
sua città e l'alto seggio:
1.129 oh felice
colui cu' ivi elegge!».
1.130 E io a
lui:
«Poeta, io ti richeggio
1.131 per
quello
Dio che tu non conoscesti,
1.132
acciò ch'io
fugga questo male e peggio,
1.133 che tu mi
meni là dov'or dicesti,
1.134
sì ch'io
veggia la porta di san Pietro
1.135 e color
cui
tu fai cotanto mesti».
1.136 Allor si
mosse, e io li tenni dietro.
2. 1 Lo giorno se
n'andava, e l'aere bruno
2. 2 toglieva
li
animai che sono in terra
2. 3 da le
fatiche
loro; e io sol uno
2. 4
m'apparecchiava a sostener la guerra
2. 5
sì del cammino
e sì de la pietate,
2. 6 che
ritrarrà
la mente che non erra.
2. 7 O muse, o
alto
ingegno, or m'aiutate;
2. 8 o mente
che
scrivesti ciò ch'io vidi,
2. 9 qui si
parrà
la tua nobilitate.
2. 10 Io
cominciai:
«Poeta che mi guidi,
2. 11 guarda la
mia
virtù s'ell'è possente,
2. 12 prima
ch'a
l'alto passo tu mi fidi.
2. 13 Tu dici
che
di Silvio il parente,
2. 14
corruttibile
ancora, ad immortale
2. 15 secolo
andò,
e fu sensibilmente.
2. 16
Però, se
l'avversario d'ogne male
2. 17 cortese i
fu,
pensando l'alto effetto
2. 18 ch'uscir
dovea di lui e 'l chi e 'l quale,
2. 19 non pare
indegno ad omo d'intelletto;
2. 20 ch'e' fu
de
l'alma Roma e di suo impero
2. 21 ne
l'empireo
ciel per padre eletto:
2. 22 la quale
e 'l
quale, a voler dir lo vero,
2. 23 fu
stabilita
per lo loco santo
2. 24 u' siede
il
successor del maggior Piero.
2. 25 Per
quest'andata onde li dai tu vanto,
2. 26 intese
cose
che furon cagione
2. 27 di sua
vittoria e del papale ammanto.
2. 28 Andovvi
poi
lo Vas d'elezione,
2. 29 per
recarne
conforto a quella fede
2. 30
ch'è
principio a la via di salvazione.
2. 31 Ma io
perché
venirvi? o chi 'l concede?
2. 32 Io non
Enea,
io non Paulo sono:
2. 33 me degno
a
ciò né io né altri 'l crede.
2. 34 Per che,
se
del venire io m'abbandono,
2. 35 temo che
la
venuta non sia folle.
2. 36 Se'
savio;
intendi me' ch'i' non ragiono».
2. 37 E qual
è quei
che disvuol ciò che volle
2. 38 e per
novi
pensier cangia proposta,
2. 39
sì che dal
cominciar tutto si tolle,
2. 40 tal mi
fec'io
'n quella oscura costa,
2. 41
perché,
pensando, consumai la 'mpresa
2. 42 che fu
nel
cominciar cotanto tosta.
2. 43
«S'i' ho ben
la parola tua intesa»,
2. 44 rispuose
del
magnanimo quell'ombra;
2. 45
«l'anima tua
è da viltade offesa;
2. 46 la qual
molte
fiate l'omo ingombra
2. 47
sì che d'onrata
impresa lo rivolve,
2. 48 come
falso
veder bestia quand'ombra.
2. 49 Da questa
tema acciò che tu ti solve,
2. 50 dirotti
perch'io venni e quel ch'io 'ntesi
2. 51 nel primo
punto che di te mi dolve.
2. 52 Io era
tra
color che son sospesi,
2. 53 e donna
mi
chiamò beata e bella,
2. 54 tal che
di
comandare io la richiesi.
2. 55 Lucevan
li
occhi suoi più che la stella;
2. 56 e
cominciommi
a dir soave e piana,
2. 57 con
angelica
voce, in sua favella:
2. 58 "O anima
cortese mantoana,
2. 59 di cui la
fama
ancor nel mondo dura,
2. 60 e
durerà
quanto 'l mondo lontana,
2. 61 l'amico
mio,
e non de la ventura,
2. 62 ne la
diserta
piaggia è impedito
2. 63
sì nel
cammin, che volt'è per paura;
2. 64 e temo
che
non sia già sì smarrito,
2. 65 ch'io mi
sia
tardi al soccorso levata,
2. 66 per quel
ch'i' ho di lui nel cielo udito.
2. 67 Or movi,
e
con la tua parola ornata
2. 68 e con
ciò
c'ha mestieri al suo campare
2. 69 l'aiuta,
sì
ch'i' ne sia consolata.
2. 70 I' son
Beatrice che ti faccio andare;
2. 71 vegno del
loco ove tornar disio;
2. 72 amor mi
mosse, che mi fa parlare.
2. 73 Quando
sarò
dinanzi al segnor mio,
2. 74 di te mi
loderò sovente a lui".
2. 75 Tacette
allora, e poi comincia' io:
2. 76 "O donna
di virtù, sola per cui
2. 77 l'umana
spezie eccede ogne contento
2. 78 di quel
ciel
c'ha minor li cerchi sui,
2. 79 tanto
m'aggrada il tuo comandamento,
2. 80 che
l'ubidir,
se già fosse, m'è tardi;
2. 81
più non t'è
uo' ch'aprirmi il tuo talento.
2. 82 Ma dimmi
la
cagion che non ti guardi
2. 83 de lo
scender
qua giuso in questo centro
2. 84 de
l'ampio
loco ove tornar tu ardi".
2. 85 "Da che
tu vuo' saver cotanto a dentro,
2. 86 dirotti
brievemente", mi rispuose,
2. 87
"perch'io non temo di venir qua entro.
2. 88 Temer si
dee
di sole quelle cose
2. 89 c'hanno
potenza di fare altrui male;
2. 90 de
l'altre
no, ché non son paurose.
2. 91 I' son
fatta
da Dio, sua mercé, tale,
2. 92 che la
vostra
miseria non mi tange,
2. 93
né fiamma
d'esto incendio non m'assale.
2. 94 Donna
è
gentil nel ciel che si compiange
2. 95 di questo
'mpedimento ov'io ti mando,
2. 96
sì che duro
giudicio là sù frange.
2. 97 Questa
chiese
Lucia in suo dimando
2. 98 e disse:
- Or
ha bisogno il tuo fedele
2. 99 di te, e
io a
te lo raccomando -.
2.100 Lucia,
nimica
di ciascun crudele,
2.101 si mosse,
e
venne al loco dov'i' era,
2.102 che mi
sedea
con l'antica Rachele.
2.103 Disse: -
Beatrice, loda di Dio vera,
2.104
ché non
soccorri quei che t'amò tanto,
2.105
ch'uscì per
te de la volgare schiera?
2.106 non odi
tu la
pieta del suo pianto?
2.107 non vedi
tu
la morte che 'l combatte
2.108 su la
fiumana
ove 'l mar non ha vanto? -
2.109 Al mondo
non
fur mai persone ratte
2.110 a far lor
pro
o a fuggir lor danno,
2.111 com'io,
dopo
cotai parole fatte,
2.112 venni qua
giù
del mio beato scanno,
2.113 fidandomi
del
tuo parlare onesto,
2.114 ch'onora
te e
quei ch'udito l'hanno".
2.115 Poscia
che
m'ebbe ragionato questo,
2.116 li occhi
lucenti lagrimando volse;
2.117 per che
mi
fece del venir più presto;
2.118 e venni a
te
così com'ella volse;
2.119 d'inanzi
a
quella fiera ti levai
2.120 che del
bel
monte il corto andar ti tolse.
2.121 Dunque:
che
è? perché, perché restai?
2.122
perché tanta
viltà nel core allette?
2.123
perché ardire
e franchezza non hai?
2.124 poscia
che
tai tre donne benedette
2.125 curan di
te
ne la corte del cielo,
2.126 e 'l mio
parlar tanto ben ti promette?».
2.127 Quali
fioretti dal notturno gelo
2.128 chinati e
chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca
2.129 si
drizzan
tutti aperti in loro stelo,
2.130 tal mi
fec'io
di mia virtude stanca,
2.131 e tanto
buono
ardire al cor mi corse,
2.132 ch'i'
cominciai come persona franca:
2.133
«Oh pietosa
colei che mi soccorse!
2.134 e te
cortese
ch'ubidisti tosto
2.135 a le vere
parole che ti porse!
2.136 Tu m'hai
con
disiderio il cor disposto
2.137
sì al venir
con le parole tue,
2.138 ch'i' son
tornato nel primo proposto.
2.139 Or va,
ch'un
sol volere è d'ambedue:
2.140 tu duca,
tu
segnore, e tu maestro».
2.141
Così li
dissi; e poi che mosso fue,
2.142 intrai per lo
cammino alto e silvestro.
3. 1 "Per
me si va ne la città dolente,
3. 2 per me si
va ne l'etterno dolore,
3. 3 per me si
va tra la perduta gente.
3. 4 Giustizia
mosse il mio alto fattore:
3. 5 fecemi la
divina podestate,
3. 6 la somma
sapienza e 'l primo amore.
3. 7 Dinanzi a
me non fuor cose create
3. 8 se non
etterne, e io etterno duro.
3. 9 Lasciate
ogne speranza, voi ch'intrate".
3. 10 Queste
parole di colore oscuro
3. 11 vid'io
scritte al sommo d'una porta;
3. 12 per
ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».
3. 13 Ed elli
a me, come persona accorta:
3. 14 «Qui si
convien lasciare ogne sospetto;
3. 15 ogne
viltà convien che qui sia morta.
3. 16 Noi siam
venuti al loco ov'i' t'ho detto
3. 17 che tu
vedrai le genti dolorose
3. 18 c'hanno
perduto il ben de l'intelletto».
3. 19 E poi
che la sua mano a la mia puose
3. 20 con
lieto volto, ond'io mi confortai,
3. 21 mi mise
dentro a le segrete cose.
3. 22 Quivi
sospiri, pianti e alti guai
3. 23
risonavan per l'aere sanza stelle,
3. 24 per
ch'io al cominciar ne lagrimai.
3. 25 Diverse
lingue, orribili favelle,
3. 26 parole
di dolore, accenti d'ira,
3. 27 voci
alte e fioche, e suon di man con elle
3. 28 facevano
un tumulto, il qual s'aggira
3. 29 sempre
in quell'aura sanza tempo tinta,
3. 30 come la
rena quando turbo spira.
3. 31 E io
ch'avea d'error la testa cinta,
3. 32 dissi:
«Maestro, che è quel ch'i' odo?
3. 33 e che
gent'è che par nel duol sì vinta?».
3. 34 Ed elli
a me: «Questo misero modo
3. 35 tegnon
l'anime triste di coloro
3. 36 che
visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
3. 37
Mischiate sono a quel cattivo coro
3. 38 de li
angeli che non furon ribelli
3. 39 né fur
fedeli a Dio, ma per sé fuoro.
3. 40
Caccianli i ciel per non esser men belli,
3. 41 né lo
profondo inferno li riceve,
3. 42
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».
3. 43 E io:
«Maestro, che è tanto greve
3. 44 a lor,
che lamentar li fa sì forte?».
3. 45
Rispuose: «Dicerolti molto breve.
3. 46 Questi
non hanno speranza di morte
3. 47 e la lor
cieca vita è tanto bassa,
3. 48 che
'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
3. 49 Fama di
loro il mondo esser non lassa;
3. 50
misericordia e giustizia li sdegna:
3. 51 non
ragioniam di lor, ma guarda e passa».
3. 52 E io,
che riguardai, vidi una 'nsegna
3. 53 che
girando correva tanto ratta,
3. 54 che
d'ogne posa mi parea indegna;
3. 55 e dietro
le venìa sì lunga tratta
3. 56 di
gente, ch'i' non averei creduto
3. 57 che
morte tanta n'avesse disfatta.
3. 58 Poscia
ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
3. 59 vidi e
conobbi l'ombra di colui
3. 60 che fece
per viltade il gran rifiuto.
3. 61
Incontanente intesi e certo fui
3. 62 che
questa era la setta d'i cattivi,
3. 63 a Dio
spiacenti e a' nemici sui.
3. 64 Questi
sciaurati, che mai non fur vivi,
3. 65 erano
ignudi e stimolati molto
3. 66 da
mosconi e da vespe ch'eran ivi.
3. 67 Elle
rigavan lor di sangue il volto,
3. 68 che,
mischiato di lagrime, a' lor piedi
3. 69 da
fastidiosi vermi era ricolto.
3. 70 E poi
ch'a riguardar oltre mi diedi,
3. 71 vidi
genti a la riva d'un gran fiume;
3. 72 per
ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi
3. 73 ch'i'
sappia quali sono, e qual costume
3. 74 le fa di
trapassar parer sì pronte,
3. 75 com'io
discerno per lo fioco lume».
3. 76 Ed elli
a me: «Le cose ti fier conte
3. 77 quando
noi fermerem li nostri passi
3. 78 su la
trista riviera d'Acheronte».
3. 79 Allor
con li occhi vergognosi e bassi,
3. 80 temendo
no 'l mio dir li fosse grave,
3. 81 infino
al fiume del parlar mi trassi.
3. 82 Ed ecco
verso noi venir per nave
3. 83 un
vecchio, bianco per antico pelo,
3. 84
gridando: «Guai a voi, anime prave!
3. 85 Non
isperate mai veder lo cielo:
3. 86 i' vegno
per menarvi a l'altra riva
3. 87 ne le
tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
3. 88 E tu che
se' costì, anima viva,
3. 89 pàrtiti
da cotesti che son morti».
3. 90 Ma poi
che vide ch'io non mi partiva,
3. 91 disse:
«Per altra via, per altri porti
3. 92 verrai a
piaggia, non qui, per passare:
3. 93 più
lieve legno convien che ti porti».
3. 94 E 'l
duca lui: «Caron, non ti crucciare:
3. 95 vuolsi
così colà dove si puote
3. 96 ciò che
si vuole, e più non dimandare».
3. 97 Quinci
fuor quete le lanose gote
3. 98 al
nocchier de la livida palude,
3. 99 che
'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
3.100 Ma
quell'anime, ch'eran lasse e nude,
3.101 cangiar
colore e dibattero i denti,
3.102 ratto
che 'nteser le parole crude.
3.103
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
3.104 l'umana
spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
3.105 di lor
semenza e di lor nascimenti.
3.106 Poi si
ritrasser tutte quante insieme,
3.107 forte
piangendo, a la riva malvagia
3.108
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
3.109 Caron
dimonio, con occhi di bragia,
3.110 loro
accennando, tutte le raccoglie;
3.111 batte
col remo qualunque s'adagia.
3.112 Come
d'autunno si levan le foglie
3.113 l'una
appresso de l'altra, fin che 'l ramo
3.114 vede a
la terra tutte le sue spoglie,
3.115
similemente il mal seme d'Adamo
3.116 gittansi
di quel lito ad una ad una,
3.117 per
cenni come augel per suo richiamo.
3.118 Così sen
vanno su per l'onda bruna,
3.119 e avanti
che sien di là discese,
3.120 anche di
qua nuova schiera s'auna.
3.121
«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
3.122 «quelli
che muoion ne l'ira di Dio
3.123 tutti
convegnon qui d'ogne paese:
3.124 e pronti
sono a trapassar lo rio,
3.125 ché la
divina giustizia li sprona,
3.126 sì che
la tema si volve in disio.
3.127 Quinci
non passa mai anima buona;
3.128 e però,
se Caron di te si lagna,
3.129 ben puoi
sapere omai che 'l suo dir suona».
3.130 Finito
questo, la buia campagna
3.131 tremò sì
forte, che de lo spavento
3.132 la mente
di sudore ancor mi bagna.
3.133 La terra
lagrimosa diede vento,
3.134 che
balenò una luce vermiglia
3.135 la qual
mi vinse ciascun sentimento
3.136 e caddi
come l'uom cui sonno piglia.
4. 1 Ruppemi l'alto sonno ne la testa
4. 2 un greve truono, sì ch'io mi riscossi
4. 3 come persona ch'è per forza desta;
4. 4 e l'occhio riposato intorno mossi,
4. 5 dritto levato, e fiso riguardai
4. 6 per conoscer lo loco dov'io fossi.
4. 7 Vero è che 'n su la proda mi trovai
4. 8 de la valle d'abisso dolorosa
4. 9 che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
4. 10 Oscura e profonda era e nebulosa
4. 11 tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
4. 12 io non vi discernea alcuna cosa.
4. 13 «Or discendiam qua giù nel cieco
mondo»,
4. 14 cominciò il poeta tutto smorto.
4. 15 «Io sarò primo, e tu sarai
secondo».
4. 16 E io, che del color mi fui accorto,
4. 17 dissi: «Come verrò, se tu paventi
4. 18 che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
4. 19 Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
4. 20 che son qua giù, nel viso mi dipigne
4. 21 quella pietà che tu per tema senti.
4. 22 Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
4. 23 Così si mise e così mi fé intrare
4. 24 nel primo cerchio che l'abisso cigne.
4. 25 Quivi, secondo che per ascoltare,
4. 26 non avea pianto mai che di sospiri,
4. 27 che l'aura etterna facevan tremare;
4. 28 ciò avvenia di duol sanza martìri
4. 29 ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
4. 30 d'infanti e di femmine e di viri.
4. 31 Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
4. 32 che spiriti son questi che tu vedi?
4. 33 Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
4. 34 ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
4. 35 non basta, perché non ebber battesmo,
4. 36 ch'è porta de la fede che tu credi;
4. 37 e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
4. 38 non adorar debitamente a Dio:
4. 39 e di questi cotai son io medesmo.
4. 40 Per tai difetti, non per altro rio,
4. 41 semo perduti, e sol di tanto offesi,
4. 42 che sanza speme vivemo in disio».
4. 43 Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
4. 44 però che gente di molto valore
4. 45 conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
4. 46 «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
4. 47 comincia' io per voler esser certo
4. 48 di quella fede che vince ogne errore:
4. 49 «uscicci mai alcuno, o per suo merto
4. 50 o per altrui, che poi fosse beato?».
4. 51 E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
4. 52 rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
4. 53 quando ci vidi venire un Possente,
4. 54 con segno di vittoria coronato.
4. 55 Trasseci l'ombra del primo parente,
4. 56 d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
4. 57 di Moisè legista e ubidente;
4. 58 Abraàm patriarca e Davìd re,
4. 59 Israèl con lo padre e co' suoi nati
4. 60 e con Rachele, per cui tanto fé;
4. 61 e altri molti, e feceli beati.
4. 62 E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
4. 63 spiriti umani non eran salvati».
4. 64 Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
4. 65 ma passavam la selva tuttavia,
4. 66 la selva, dico, di spiriti spessi.
4. 67 Non era lunga ancor la nostra via
4. 68 di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
4. 69 ch'emisperio di tenebre vincia.
4. 70 Di lungi n'eravamo ancora un poco,
4. 71 ma non sì ch'io non discernessi in parte
4. 72 ch'orrevol gente possedea quel loco.
4. 73 «O tu ch'onori scienzia e arte,
4. 74 questi chi son c'hanno cotanta onranza,
4. 75 che dal modo de li altri li diparte?».
4. 76 E quelli a me: «L'onrata nominanza
4. 77 che di lor suona sù ne la tua vita,
4. 78 grazia acquista in ciel che sì li avanza».
4. 79 Intanto voce fu per me udita:
4. 80 «Onorate l'altissimo poeta:
4. 81 l'ombra sua torna, ch'era dipartita».
4. 82 Poi che la voce fu restata e queta,
4. 83 vidi quattro grand'ombre a noi venire:
4. 84 sembianz'avevan né trista né lieta.
4. 85 Lo buon maestro cominciò a dire:
4. 86 «Mira colui con quella spada in mano,
4. 87 che vien dinanzi ai tre sì come sire:
4. 88 quelli è Omero poeta sovrano;
4. 89 l'altro è Orazio satiro che vene;
4. 90 Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
4. 91 Però che ciascun meco si convene
4. 92 nel nome che sonò la voce sola,
4. 93 fannomi onore, e di ciò fanno bene».
4. 94 Così vid'i' adunar la bella scola
4. 95 di quel segnor de l'altissimo canto
4. 96 che sovra li altri com'aquila vola.
4. 97 Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
4. 98 volsersi a me con salutevol cenno,
4. 99 e 'l mio maestro sorrise di tanto;
4.100 e più d'onore ancora assai mi fenno,
4.101 ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
4.102 sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
4.103 Così andammo infino a la lumera,
4.104 parlando cose che 'l tacere è bello,
4.105 sì com'era 'l parlar colà dov'era.
4.106 Venimmo al piè d'un nobile castello,
4.107 sette volte cerchiato d'alte mura,
4.108 difeso intorno d'un bel fiumicello.
4.109 Questo passammo come terra dura;
4.110 per sette porte intrai con questi savi:
4.111 giugnemmo in prato di fresca verdura.
4.112 Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
4.113 di grande autorità ne' lor sembianti:
4.114 parlavan rado, con voci soavi.
4.115 Traemmoci così da l'un de' canti,
4.116 in loco aperto, luminoso e alto,
4.117 sì che veder si potien tutti quanti.
4.118 Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
4.119 mi fuor mostrati li spiriti magni,
4.120 che del vedere in me stesso m'essalto.
4.121 I' vidi Eletra con molti compagni,
4.122 tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
4.123 Cesare armato con li occhi grifagni.
4.124 Vidi Cammilla e la Pantasilea;
4.125 da l'altra parte, vidi 'l re Latino
4.126 che con Lavina sua figlia sedea.
4.127 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
4.128 Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
4.129 e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
4.130 Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
4.131 vidi 'l maestro di color che sanno
4.132 seder tra filosofica famiglia.
4.133 Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
4.134 quivi vid'io Socrate e Platone,
4.135 che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
4.136 Democrito, che 'l mondo a caso pone,
4.137 Diogenés, Anassagora e Tale,
4.138 Empedoclès, Eraclito e Zenone;
4.139 e vidi il buono accoglitor del quale,
4.140 Diascoride dico; e vidi Orfeo,
4.141 Tulio e Lino e Seneca morale;
4.142 Euclide geomètra e Tolomeo,
4.143 Ipocràte, Avicenna e Galieno,
4.144 Averoìs, che 'l gran comento feo.
4.145 Io non posso ritrar di tutti a pieno,
4.146 però che sì mi caccia il lungo tema,
4.147 che molte volte al fatto il dir vien meno.
4.148 La sesta compagnia in due si scema:
4.149 per altra via mi mena il savio duca,
4.150 fuor de la queta, ne l'aura che trema.
4.151 E vegno in parte ove non è che luca.
5. 1 Così discesi del cerchio
primaio
5. 2 giù nel secondo, che men loco cinghia,
5. 3 e tanto più dolor, che punge a guaio.
5. 4 Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
5. 5 essamina le colpe ne l'intrata;
5. 6 giudica e manda secondo ch'avvinghia.
5. 7 Dico che quando l'anima mal nata
5. 8 li vien dinanzi, tutta si confessa;
5. 9 e quel conoscitor de le peccata
5. 10 vede qual loco d'inferno è da essa;
5. 11 cignesi con la coda tante volte
5. 12 quantunque gradi vuol che giù sia messa.
5. 13 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
5. 14 vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
5. 15 dicono e odono, e poi son giù volte.
5. 16 «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
5. 17 disse Minòs a me quando mi vide,
5. 18 lasciando l'atto di cotanto offizio,
5. 19 «guarda com'entri e di cui tu ti fide;
5. 20 non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
5. 21 E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
5. 22 Non impedir lo suo fatale andare:
5. 23 vuolsi così colà dove si puote
5. 24 ciò che si vuole, e più non
dimandare».
5. 25 Or incomincian le dolenti note
5. 26 a farmisi sentire; or son venuto
5. 27 là dove molto pianto mi percuote.
5. 28 Io venni in loco d'ogne luce muto,
5. 29 che mugghia come fa mar per tempesta,
5. 30 se da contrari venti è combattuto.
5. 31 La bufera infernal, che mai non resta,
5. 32 mena li spirti con la sua rapina;
5. 33 voltando e percotendo li molesta.
5. 34 Quando giungon davanti a la ruina,
5. 35 quivi le strida, il compianto, il lamento;
5. 36 bestemmian quivi la virtù divina.
5. 37 Intesi ch'a così fatto tormento
5. 38 enno dannati i peccator carnali,
5. 39 che la ragion sommettono al talento.
5. 40 E come li stornei ne portan l'ali
5. 41 nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
5. 42 così quel fiato li spiriti mali
5. 43 di qua, di là, di giù, di sù li
mena;
5. 44 nulla speranza li conforta mai,
5. 45 non che di posa, ma di minor pena.
5. 46 E come i gru van cantando lor lai,
5. 47 faccendo in aere di sé lunga riga,
5. 48 così vid'io venir, traendo guai,
5. 49 ombre portate da la detta briga;
5. 50 per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
5. 51 genti che l'aura nera sì gastiga?».
5. 52 «La prima di color di cui novelle
5. 53 tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
5. 54 «fu imperadrice di molte favelle.
5. 55 A vizio di lussuria fu sì rotta,
5. 56 che libito fé licito in sua legge,
5. 57 per tòrre il biasmo in che era condotta.
5. 58 Ell'è Semiramìs, di cui si legge
5. 59 che succedette a Nino e fu sua sposa:
5. 60 tenne la terra che 'l Soldan corregge.
5. 61 L'altra è colei che s'ancise amorosa,
5. 62 e ruppe fede al cener di Sicheo;
5. 63 poi è Cleopatràs lussuriosa.
5. 64 Elena vedi, per cui tanto reo
5. 65 tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
5. 66 che con amore al fine combatteo.
5. 67 Vedi Parìs, Tristano»; e più di
mille
5. 68 ombre mostrommi e nominommi a dito,
5. 69 ch'amor di nostra vita dipartille.
5. 70 Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
5. 71 nomar le donne antiche e ' cavalieri,
5. 72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
5. 73 I' cominciai: «Poeta, volontieri
5. 74 parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
5. 75 e paion sì al vento esser leggieri».
5. 76 Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
5. 77 più presso a noi; e tu allor li priega
5. 78 per quello amor che i mena, ed ei verranno».
5. 79 Sì tosto come il vento a noi li piega,
5. 80 mossi la voce: «O anime affannate,
5. 81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
5. 82 Quali colombe dal disio chiamate
5. 83 con l'ali alzate e ferme al dolce nido
5. 84 vegnon per l'aere, dal voler portate;
5. 85 cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
5. 86 a noi venendo per l'aere maligno,
5. 87 sì forte fu l'affettuoso grido.
5. 88 «O animal grazioso e benigno
5. 89 che visitando vai per l'aere perso
5. 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
5. 91 se fosse amico il re de l'universo,
5. 92 noi pregheremmo lui de la tua pace,
5. 93 poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
5. 94 Di quel che udire e che parlar vi piace,
5. 95 noi udiremo e parleremo a voi,
5. 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
5. 97 Siede la terra dove nata fui
5. 98 su la marina dove 'l Po discende
5. 99 per aver pace co' seguaci sui.
5.100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
5.101 prese costui de la bella persona
5.102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
5.103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
5.104 mi prese del costui piacer sì forte,
5.105 che, come vedi, ancor non m'abbandona.
5.106 Amor condusse noi ad una morte:
5.107 Caina attende chi a vita ci spense».
5.108 Queste parole da lor ci fuor porte.
5.109 Quand'io intesi quell'anime offense,
5.110 china' il viso e tanto il tenni basso,
5.111 fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
5.112 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
5.113 quanti dolci pensier, quanto disio
5.114 menò costoro al doloroso passo!».
5.115 Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
5.116 e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
5.117 a lagrimar mi fanno tristo e pio.
5.118 Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
5.119 a che e come concedette amore
5.120 che conosceste i dubbiosi disiri?».
5.121 E quella a me: «Nessun maggior dolore
5.122 che ricordarsi del tempo felice
5.123 ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
5.124 Ma s'a conoscer la prima radice
5.125 del nostro amor tu hai cotanto affetto,
5.126 dirò come colui che piange e dice.
5.127 Noi leggiavamo un giorno per diletto
5.128 di Lancialotto come amor lo strinse;
5.129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.
5.130 Per più fiate li occhi ci sospinse
5.131 quella lettura, e scolorocci il viso;
5.132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.
5.133 Quando leggemmo il disiato riso
5.134 esser basciato da cotanto amante,
5.135 questi, che mai da me non fia diviso,
5.136 la bocca mi basciò tutto tremante.
5.137 Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
5.138 quel giorno più non vi leggemmo avante».
5.139 Mentre che l'uno spirto questo disse,
5.140 l'altro piangea; sì che di pietade
5.141 io venni men così com'io morisse.
5.142 E caddi come corpo morto cade.
6. 1 Al tornar de la mente, che si chiuse
6. 2 dinanzi a la pietà de'due cognati,
6. 3 che di trestizia tutto mi confuse,
6. 4 novi tormenti e novi tormentati
6. 5 mi veggio intorno, come ch'io mi mova
6. 6 e ch'io mi volga, e come che io guati.
6. 7 Io sono al terzo cerchio, de la piova
6. 8 etterna, maladetta, fredda e greve;
6. 9 regola e qualità mai non l'è nova.
6. 10 Grandine grossa, acqua tinta e neve
6. 11 per l'aere tenebroso si riversa;
6. 12 pute la terra che questo riceve.
6. 13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
6. 14 con tre gole caninamente latra
6. 15 sovra la gente che quivi è sommersa.
6. 16 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
6. 17 e 'l ventre largo, e unghiate le mani;
6. 18 graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.
6. 19 Urlar li fa la pioggia come cani;
6. 20 de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
6. 21 volgonsi spesso i miseri profani.
6. 22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
6. 23 le bocche aperse e mostrocci le sanne;
6. 24 non avea membro che tenesse fermo.
6. 25 E 'l duca mio distese le sue spanne,
6. 26 prese la terra, e con piene le pugna
6. 27 la gittò dentro a le bramose canne.
6. 28 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna,
6. 29 e si racqueta poi che 'l pasto morde,
6. 30 ché solo a divorarlo intende e pugna,
6. 31 cotai si fecer quelle facce lorde
6. 32 de lo demonio Cerbero, che 'ntrona
6. 33 l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde.
6. 34 Noi passavam su per l'ombre che adona
6. 35 la greve pioggia, e ponavam le piante
6. 36 sovra lor vanità che par persona.
6. 37 Elle giacean per terra tutte quante,
6. 38 fuor d'una ch'a seder si levò, ratto
6. 39 ch'ella ci vide passarsi davante.
6. 40 «O tu che se' per questo 'nferno tratto»,
6. 41 mi disse, «riconoscimi, se sai:
6. 42 tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto».
6. 43 E io a lui: «L'angoscia che tu hai
6. 44 forse ti tira fuor de la mia mente,
6. 45 sì che non par ch'i' ti vedessi mai.
6. 46 Ma dimmi chi tu se' che 'n sì dolente
6. 47 loco se' messo e hai sì fatta pena,
6. 48 che, s'altra è maggio, nulla è
sì spiacente».
6. 49 Ed elli a me: «La tua città, ch'è
piena
6. 50 d'invidia sì che già trabocca il sacco,
6. 51 seco mi tenne in la vita serena.
6. 52 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
6. 53 per la dannosa colpa de la gola,
6. 54 come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
6. 55 E io anima trista non son sola,
6. 56 ché tutte queste a simil pena stanno
6. 57 per simil colpa». E più non fé
parola.
6. 58 Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno
6. 59 mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita;
6. 60 ma dimmi, se tu sai, a che verranno
6. 61 li cittadin de la città partita;
6. 62 s'alcun v'è giusto; e dimmi la cagione
6. 63 per che l'ha tanta discordia assalita».
6. 64 E quelli a me: «Dopo lunga tencione
6. 65 verranno al sangue, e la parte selvaggia
6. 66 caccerà l'altra con molta offensione.
6. 67 Poi appresso convien che questa caggia
6. 68 infra tre soli, e che l'altra sormonti
6. 69 con la forza di tal che testé piaggia.
6. 70 Alte terrà lungo tempo le fronti,
6. 71 tenendo l'altra sotto gravi pesi,
6. 72 come che di ciò pianga o che n'aonti.
6. 73 Giusti son due, e non vi sono intesi;
6. 74 superbia, invidia e avarizia sono
6. 75 le tre faville c'hanno i cuori accesi».
6. 76 Qui puose fine al lagrimabil suono.
6. 77 E io a lui: «Ancor vo' che mi 'nsegni,
6. 78 e che di più parlar mi facci dono.
6. 79 Farinata e 'l Tegghiaio, che fuor sì degni,
6. 80 Iacopo Rusticucci, Arrigo e 'l Mosca
6. 81 e li altri ch'a ben far puoser li 'ngegni,
6. 82 dimmi ove sono e fa ch'io li conosca;
6. 83 ché gran disio mi stringe di savere
6. 84 se 'l ciel li addolcia, o lo 'nferno li attosca».
6. 85 E quelli: «Ei son tra l'anime più nere:
6. 86 diverse colpe giù li grava al fondo:
6. 87 se tanto scendi, là i potrai vedere.
6. 88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
6. 89 priegoti ch'a la mente altrui mi rechi:
6. 90 più non ti dico e più non ti
rispondo».
6. 91 Li diritti occhi torse allora in biechi;
6. 92 guardommi un poco, e poi chinò la testa:
6. 93 cadde con essa a par de li altri ciechi.
6. 94 E 'l duca disse a me: «Più non si desta
6. 95 di qua dal suon de l'angelica tromba,
6. 96 quando verrà la nimica podesta:
6. 97 ciascun rivederà la trista tomba,
6. 98 ripiglierà sua carne e sua figura,
6. 99 udirà quel ch'in etterno rimbomba».
6.100 Sì trapassammo per sozza mistura
6.101 de l'ombre e de la pioggia, a passi lenti,
6.102 toccando un poco la vita futura;
6.103 per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
6.104 crescerann'ei dopo la gran sentenza,
6.105 o fier minori, o saran sì cocenti?».
6.106 Ed elli a me: «Ritorna a tua scienza,
6.107 che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
6.108 più senta il bene, e così la doglienza.
6.109 Tutto che questa gente maladetta
6.110 in vera perfezion già mai non vada,
6.111 di là più che di qua essere
aspetta».
6.112 Noi aggirammo a tondo quella strada,
6.113 parlando più assai ch'i' non ridico;
6.114 venimmo al punto dove si digrada:
6.115 quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
7.
1 «Papé Satàn,
pape Satàn aleppe!»,
7. 2
cominciò
Pluto con la voce chioccia;
7. 3 e
quel
savio gentil, che tutto seppe,
7. 4 disse
per
confortarmi: «Non ti noccia
7. 5 la
tua
paura; ché, poder ch'elli abbia,
7. 6 non
ci
torrà lo scender questa roccia».
7. 7 Poi
si
rivolse a quella 'nfiata labbia,
7. 8 e
disse:
«Taci, maladetto lupo!
7. 9
consuma
dentro te con la tua rabbia.
7. 10 Non è
sanza cagion l'andare al cupo:
7. 11
vuolsi
ne l'alto, là dove Michele
7. 12
fé la
vendetta del superbo strupo».
7. 13
Quali
dal vento le gonfiate vele
7. 14
caggiono
avvolte, poi che l'alber fiacca,
7. 15 tal
cadde a terra la fiera crudele.
7. 16
Così
scendemmo ne la quarta lacca
7. 17
pigliando più de la dolente ripa
7. 18 che
'l
mal de l'universo tutto insacca.
7. 19 Ahi
giustizia di Dio! tante chi stipa
7. 20 nove
travaglie e pene quant'io viddi?
7. 21 e
perché
nostra colpa sì ne scipa?
7. 22 Come
fa
l'onda là sovra Cariddi,
7. 23 che
si
frange con quella in cui s'intoppa,
7. 24
così
convien che qui la gente riddi.
7. 25 Qui
vid'i' gente più ch'altrove troppa,
7. 26 e
d'una
parte e d'altra, con grand'urli,
7. 27
voltando
pesi per forza di poppa.
7. 28
Percoteansi 'ncontro; e poscia pur lì
7. 29 si
rivolgea ciascun, voltando a retro,
7. 30
gridando: «Perché tieni?» e
«Perché burli?».
7. 31
Così
tornavan per lo cerchio tetro
7. 32 da
ogne
mano a l'opposito punto,
7. 33
gridandosi anche loro ontoso metro;
7. 34 poi
si
volgea ciascun, quand'era giunto,
7. 35 per
lo
suo mezzo cerchio a l'altra giostra.
7. 36 E
io,
ch'avea lo cor quasi compunto,
7. 37
dissi:
«Maestro mio, or mi dimostra
7. 38 che
gente è questa, e se tutti fuor cherci
7. 39
questi
chercuti a la sinistra nostra».
7. 40 Ed
elli
a me: «Tutti quanti fuor guerci
7. 41
sì de la
mente in la vita primaia,
7. 42 che
con
misura nullo spendio ferci.
7. 43
Assai la
voce lor chiaro l'abbaia
7. 44
quando
vegnono a' due punti del cerchio
7. 45 dove
colpa contraria li dispaia.
7. 46
Questi
fuor cherci, che non han coperchio
7. 47
piloso
al capo, e papi e cardinali,
7. 48 in
cui
usa avarizia il suo soperchio».
7. 49 E
io:
«Maestro, tra questi cotali
7. 50
dovre'
io ben riconoscere alcuni
7. 51 che
furo
immondi di cotesti mali».
7. 52 Ed
elli
a me: «Vano pensiero aduni:
7. 53 la
sconoscente vita che i fé sozzi
7. 54 ad
ogne
conoscenza or li fa bruni.
7. 55 In
etterno verranno a li due cozzi:
7. 56
questi
resurgeranno del sepulcro
7. 57 col
pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
7. 58 Mal
dare
e mal tener lo mondo pulcro
7. 59 ha
tolto
loro, e posti a questa zuffa:
7. 60 qual
ella sia, parole non ci appulcro.
7. 61 Or
puoi,
figliuol, veder la corta buffa
7. 62 d'i
ben
che son commessi a la fortuna,
7. 63 per
che
l'umana gente si rabbuffa;
7. 64
ché
tutto l'oro ch'è sotto la luna
7. 65 e
che
già fu, di quest'anime stanche
7. 66 non
poterebbe farne posare una».
7. 67
«Maestro
mio», diss'io, «or mi dì anche:
7. 68
questa
fortuna di che tu mi tocche,
7. 69 che
è,
che i ben del mondo ha sì tra branche?».
7. 70 E quelli
a me: «Oh creature sciocche,
7. 71
quanta
ignoranza è quella che v'offende!
7. 72 Or
vo'
che tu mia sentenza ne 'mbocche.
7. 73
Colui lo
cui saver tutto trascende,
7. 74 fece
li
cieli e diè lor chi conduce
7. 75
sì
ch'ogne parte ad ogne parte splende,
7. 76
distribuendo igualmente la luce.
7. 77
Similemente a li splendor mondani
7. 78
ordinò
general ministra e duce
7. 79 che
permutasse a tempo li ben vani
7. 80 di
gente
in gente e d'uno in altro sangue,
7. 81
oltre la
difension d'i senni umani;
7. 82 per
ch'una gente impera e l'altra langue,
7. 83
seguendo
lo giudicio di costei,
7. 84 che
è
occulto come in erba l'angue.
7. 85
Vostro
saver non ha contasto a lei:
7. 86
questa
provede, giudica, e persegue
7. 87 suo
regno come il loro li altri dèi.
7. 88 Le
sue
permutazion non hanno triegue;
7. 89
necessità la fa esser veloce;
7. 90
sì
spesso vien chi vicenda consegue.
7. 91
Quest'è
colei ch'è tanto posta in croce
7. 92 pur
da
color che le dovrien dar lode,
7. 93
dandole
biasmo a torto e mala voce;
7. 94 ma
ella
s'è beata e ciò non ode:
7. 95 con
l'altre prime creature lieta
7. 96
volve
sua spera e beata si gode.
7. 97 Or
discendiamo omai a maggior pieta;
7. 98
già ogne
stella cade che saliva
7. 99
quand'io
mi mossi, e 'l troppo star si vieta».
7.100 Noi
ricidemmo il cerchio a l'altra riva
7.101
sovr'una
fonte che bolle e riversa
7.102 per
un
fossato che da lei deriva.
7.103
L'acqua
era buia assai più che persa;
7.104 e
noi,
in compagnia de l'onde bige,
7.105
intrammo
giù per una via diversa.
7.106 In
la
palude va c'ha nome Stige
7.107
questo
tristo ruscel, quand'è disceso
7.108 al
piè
de le maligne piagge grige.
7.109 E
io,
che di mirare stava inteso,
7.110 vidi
genti fangose in quel pantano,
7.111
ignude
tutte, con sembiante offeso.
7.112
Queste
si percotean non pur con mano,
7.113 ma
con
la testa e col petto e coi piedi,
7.114
troncandosi co' denti a brano a brano.
7.115 Lo
buon
maestro disse: «Figlio, or vedi
7.116
l'anime
di color cui vinse l'ira;
7.117 e
anche
vo' che tu per certo credi
7.118 che
sotto l'acqua è gente che sospira,
7.119 e
fanno
pullular quest'acqua al summo,
7.120 come
l'occhio ti dice, u' che s'aggira.
7.121
Fitti
nel limo, dicon: "Tristi fummo
7.122 ne
l'aere dolce che dal sol s'allegra,
7.123
portando
dentro accidioso fummo:
7.124 or
ci
attristiam ne la belletta negra".
7.125
Quest'inno si gorgoglian ne la strozza,
7.126
ché dir
nol posson con parola integra».
7.127
Così
girammo de la lorda pozza
7.128
grand'arco tra la ripa secca e 'l mézzo,
7.129 con
li
occhi vòlti a chi del fango ingozza.
7.130
Venimmo
al piè d'una torre al da sezzo.
8. 1 Io
dico,
seguitando, ch'assai prima
8. 2 che
noi
fossimo al piè de l'alta torre,
8. 3 li
occhi
nostri n'andar suso a la cima
8. 4 per
due
fiammette che i vedemmo porre
8. 5 e
un'altra da lungi render cenno
8. 6 tanto
ch'a pena il potea l'occhio tòrre.
8. 7 E io
mi
volsi al mar di tutto 'l senno;
8. 8
dissi:
«Questo che dice? e che risponde
8. 9
quell'altro foco? e chi son quei che 'l fenno?».
8. 10 Ed
elli
a me: «Su per le sucide onde
8. 11
già
scorgere puoi quello che s'aspetta,
8. 12 se
'l
fummo del pantan nol ti nasconde».
8. 13
Corda
non pinse mai da sé saetta
8. 14 che
sì
corresse via per l'aere snella,
8. 15
com'io
vidi una nave piccioletta
8. 16
venir
per l'acqua verso noi in quella,
8. 17
sotto 'l
governo d'un sol galeoto,
8. 18 che
gridava: «Or se' giunta, anima fella!».
8. 19
«Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a
vòto»,
8. 20
disse lo
mio segnore «a questa volta:
8. 21
più non
ci avrai che sol passando il loto».
8. 22 Qual
è
colui che grande inganno ascolta
8. 23 che
li
sia fatto, e poi se ne rammarca,
8. 24
fecesi
Flegiàs ne l'ira accolta.
8. 25 Lo
duca
mio discese ne la barca,
8. 26 e
poi mi
fece intrare appresso lui;
8. 27 e
sol
quand'io fui dentro parve carca.
8. 28
Tosto
che 'l duca e io nel legno fui,
8. 29
segando
se ne va l'antica prora
8. 30 de
l'acqua più che non suol con altrui.
8. 31
Mentre
noi corravam la morta gora,
8. 32
dinanzi
mi si fece un pien di fango,
8. 33 e
disse:
«Chi se' tu che vieni anzi ora?».
8. 34 E io
a
lui: «S'i' vegno, non rimango;
8. 35 ma
tu
chi se', che sì se' fatto brutto?».
8. 36
Rispuose: «Vedi che son un che piango».
8. 37 E io
a
lui: «Con piangere e con lutto,
8. 38
spirito
maladetto, ti rimani;
8. 39
ch'i' ti
conosco, ancor sie lordo tutto».
8. 40 Allor distese
al legno ambo le mani;
8. 41 per
che
'l maestro accorto lo sospinse,
8. 42
dicendo:
«Via costà con li altri cani!».
8. 43 Lo
collo
poi con le braccia mi cinse;
8. 44
basciommi 'l volto, e disse: «Alma sdegnosa,
8. 45
benedetta colei che 'n te s'incinse!
8. 46 Quei
fu
al mondo persona orgogliosa;
8. 47
bontà
non è che sua memoria fregi:
8. 48
così s'è
l'ombra sua qui furiosa.
8. 49
Quanti
si tegnon or là sù gran regi
8. 50 che
qui
staranno come porci in brago,
8. 51 di
sé
lasciando orribili dispregi!».
8. 52 E
io:
«Maestro, molto sarei vago
8. 53 di
vederlo attuffare in questa broda
8. 54
prima
che noi uscissimo del lago».
8. 55 Ed
elli
a me: «Avante che la proda
8. 56 ti
si
lasci veder, tu sarai sazio:
8. 57 di
tal
disio convien che tu goda».
8. 58 Dopo
ciò
poco vid'io quello strazio
8. 59 far
di
costui a le fangose genti,
8. 60 che
Dio
ancor ne lodo e ne ringrazio.
8. 61
Tutti
gridavano: «A Filippo Argenti!»;
8. 62 e 'l
fiorentino spirito bizzarro
8. 63 in
sé
medesmo si volvea co' denti.
8. 64
Quivi il
lasciammo, che più non ne narro;
8. 65 ma
ne
l'orecchie mi percosse un duolo,
8. 66 per
ch'io avante l'occhio intento sbarro.
8. 67 Lo
buon
maestro disse: «Omai, figliuolo,
8. 68
s'appressa la città c'ha nome Dite,
8. 69 coi
gravi cittadin, col grande stuolo».
8. 70 E
io:
«Maestro, già le sue meschite
8. 71
là entro
certe ne la valle cerno,
8. 72
vermiglie come se di foco uscite
8. 73
fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno
8. 74
ch'entro
l'affoca le dimostra rosse,
8. 75 come
tu
vedi in questo basso inferno».
8. 76 Noi
pur
giugnemmo dentro a l'alte fosse
8. 77 che
vallan quella terra sconsolata:
8. 78 le
mura
mi parean che ferro fosse.
8. 79 Non
sanza prima far grande aggirata,
8. 80
venimmo
in parte dove il nocchier forte
8. 81
«Usciteci», gridò: «qui
è l'intrata».
8. 82 Io
vidi
più di mille in su le porte
8. 83 da
ciel
piovuti, che stizzosamente
8. 84
dicean:
«Chi è costui che sanza morte
8. 85 va
per
lo regno de la morta gente?».
8. 86 E 'l
savio mio maestro fece segno
8. 87 di
voler
lor parlar segretamente.
8. 88
Allor
chiusero un poco il gran disdegno,
8. 89 e
disser: «Vien tu solo, e quei sen vada,
8. 90 che
sì
ardito intrò per questo regno.
8. 91 Sol
si
ritorni per la folle strada:
8. 92
pruovi,
se sa; ché tu qui rimarrai
8. 93 che
li
ha' iscorta sì buia contrada».
8. 94
Pensa,
lettor, se io mi sconfortai
8. 95 nel
suon
de le parole maladette,
8. 96
ché non
credetti ritornarci mai.
8. 97
«O caro
duca mio, che più di sette
8. 98
volte
m'hai sicurtà renduta e tratto
8. 99
d'alto
periglio che 'ncontra mi stette,
8.100 non
mi
lasciar», diss'io, «così disfatto;
8.101 e se
'l
passar più oltre ci è negato,
8.102
ritroviam l'orme nostre insieme ratto».
8.103 E
quel
segnor che lì m'avea menato,
8.104 mi
disse: «Non temer; ché 'l nostro passo
8.105 non
ci
può tòrre alcun: da tal n'è dato.
8.106 Ma
qui
m'attendi, e lo spirito lasso
8.107
conforta
e ciba di speranza buona,
8.108
ch'i'
non ti lascerò nel mondo basso».
8.109
Così sen
va, e quivi m'abbandona
8.110 lo
dolce
padre, e io rimagno in forse,
8.111 che
sì e
no nel capo mi tenciona.
8.112 Udir
non
potti quello ch'a lor porse;
8.113 ma
ei
non stette là con essi guari,
8.114 che
ciascun dentro a pruova si ricorse.
8.115
Chiuser
le porte que' nostri avversari
8.116 nel
petto al mio segnor, che fuor rimase,
8.117 e
rivolsesi a me con passi rari.
8.118 Li
occhi
a la terra e le ciglia avea rase
8.119
d'ogne
baldanza, e dicea ne' sospiri:
8.120
«Chi
m'ha negate le dolenti case!».
8.121 E a
me
disse: «Tu, perch'io m'adiri,
8.122 non
sbigottir, ch'io vincerò la prova,
8.123 qual
ch'a la difension dentro s'aggiri.
8.124
Questa
lor tracotanza non è nova;
8.125
ché già
l'usaro a men segreta porta,
8.126 la
qual
sanza serrame ancor si trova.
8.127
Sovr'essa vedestù la scritta morta:
8.128 e
già di
qua da lei discende l'erta,
8.129
passando
per li cerchi sanza scorta,
8.130 tal
che
per lui ne fia la terra aperta».
9. 1 Quel
color che viltà di fuor mi pinse
9. 2
veggendo
il duca mio tornare in volta,
9. 3
più tosto
dentro il suo novo ristrinse.
9. 4
Attento
si fermò com'uom ch'ascolta;
9. 5
ché
l'occhio nol potea menare a lunga
9. 6 per
l'aere nero e per la nebbia folta.
9. 7
«Pur a
noi converrà vincer la punga»,
9. 8
cominciò
el, «se non... Tal ne s'offerse.
9. 9 Oh
quanto
tarda a me ch'altri qui giunga!».
9. 10 I'
vidi
ben sì com'ei ricoperse
9. 11 lo
cominciar con l'altro che poi venne,
9. 12 che
fur
parole a le prime diverse;
9. 13 ma
nondimen paura il suo dir dienne,
9. 14
perch'io
traeva la parola tronca
9. 15
forse a
peggior sentenzia che non tenne.
9. 16
«In
questo fondo de la trista conca
9. 17
discende
mai alcun del primo grado,
9. 18 che
sol
per pena ha la speranza cionca?».
9. 19
Questa
question fec'io; e quei «Di rado
9. 20
incontra», mi rispuose, «che di noi
9. 21
faccia
il cammino alcun per qual io vado.
9. 22 Ver
è
ch'altra fiata qua giù fui,
9. 23
congiurato da quella Eritón cruda
9. 24 che
richiamava l'ombre a' corpi sui.
9. 25 Di
poco
era di me la carne nuda,
9. 26
ch'ella
mi fece intrar dentr'a quel muro,
9. 27 per
trarne un spirto del cerchio di Giuda.
9. 28
Quell'è
'l più basso loco e 'l più oscuro,
9. 29 e 'l
più
lontan dal ciel che tutto gira:
9. 30 ben
so
'l cammin; però ti fa sicuro.
9. 31
Questa
palude che 'l gran puzzo spira
9. 32
cigne
dintorno la città dolente,
9. 33 u'
non
potemo intrare omai sanz'ira».
9. 34 E
altro
disse, ma non l'ho a mente;
9. 35
però che
l'occhio m'avea tutto tratto
9. 36 ver'
l'alta torre a la cima rovente,
9. 37 dove
in
un punto furon dritte ratto
9. 38 tre
furie infernal di sangue tinte,
9. 39 che
membra feminine avieno e atto,
9. 40 e
con
idre verdissime eran cinte;
9. 41
serpentelli e ceraste avien per crine,
9. 42 onde
le
fiere tempie erano avvinte.
9. 43 E
quei,
che ben conobbe le meschine
9. 44 de
la
regina de l'etterno pianto,
9. 45
«Guarda», mi disse, «le feroci Erine.
9. 46 Quest'è
Megera dal sinistro canto;
9. 47
quella
che piange dal destro è Aletto;
9. 48
Tesifón
è nel mezzo»; e tacque a tanto.
9. 49 Con
l'unghie si fendea ciascuna il petto;
9. 50
battiensi
a palme, e gridavan sì alto,
9. 51
ch'i' mi
strinsi al poeta per sospetto.
9. 52
«Vegna
Medusa: sì 'l farem di smalto»,
9. 53
dicevan
tutte riguardando in giuso;
9. 54
«mal non
vengiammo in Teseo l'assalto».
9. 55
«Volgiti
'n dietro e tien lo viso chiuso;
9. 56
ché se
'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
9. 57
nulla
sarebbe di tornar mai suso».
9. 58
Così
disse 'l maestro; ed elli stessi
9. 59 mi
volse, e non si tenne a le mie mani,
9. 60 che
con
le sue ancor non mi chiudessi.
9. 61 O
voi
ch'avete li 'ntelletti sani,
9. 62
mirate
la dottrina che s'asconde
9. 63
sotto 'l
velame de li versi strani.
9. 64 E
già
venia su per le torbide onde
9. 65 un
fracasso d'un suon, pien di spavento,
9. 66 per
cui
tremavano amendue le sponde,
9. 67 non
altrimenti fatto che d'un vento
9. 68
impetuoso per li avversi ardori,
9. 69 che
fier
la selva e sanz'alcun rattento
9. 70 li
rami
schianta, abbatte e porta fori;
9. 71
dinanzi
polveroso va superbo,
9. 72 e fa
fuggir le fiere e li pastori.
9. 73 Li
occhi
mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
9. 74 del
viso
su per quella schiuma antica
9. 75 per
indi
ove quel fummo è più acerbo».
9. 76 Come
le
rane innanzi a la nimica
9. 77
biscia
per l'acqua si dileguan tutte,
9. 78 fin
ch'a
la terra ciascuna s'abbica,
9. 79
vid'io
più di mille anime distrutte
9. 80
fuggir
così dinanzi ad un ch'al passo
9. 81
passava
Stige con le piante asciutte.
9. 82 Dal
volto rimovea quell'aere grasso,
9. 83
menando
la sinistra innanzi spesso;
9. 84 e
sol di
quell'angoscia parea lasso.
9. 85 Ben
m'accorsi ch'elli era da ciel messo,
9. 86 e
volsimi al maestro; e quei fé segno
9. 87
ch'i'
stessi queto ed inchinassi ad esso.
9. 88 Ahi
quanto mi parea pien di disdegno!
9. 89
Venne a
la porta, e con una verghetta
9. 90
l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno.
9. 91
«O
cacciati del ciel, gente dispetta»,
9. 92
cominciò
elli in su l'orribil soglia,
9. 93
«ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
9. 94
Perché
recalcitrate a quella voglia
9. 95 a
cui
non puote il fin mai esser mozzo,
9. 96 e
che
più volte v'ha cresciuta doglia?
9. 97 Che
giova ne le fata dar di cozzo?
9. 98
Cerbero
vostro, se ben vi ricorda,
9. 99 ne
porta
ancor pelato il mento e 'l gozzo».
9.100 Poi
si
rivolse per la strada lorda,
9.101 e
non fé
motto a noi, ma fé sembiante
9.102
d'omo
cui altra cura stringa e morda
9.103 che
quella di colui che li è davante;
9.104 e
noi
movemmo i piedi inver' la terra,
9.105
sicuri
appresso le parole sante.
9.106
Dentro
li 'ntrammo sanz'alcuna guerra;
9.107 e
io,
ch'avea di riguardar disio
9.108 la
condizion che tal fortezza serra,
9.109
com'io
fui dentro, l'occhio intorno invio;
9.110 e
veggio
ad ogne man grande campagna
9.111
piena di
duolo e di tormento rio.
9.112
Sì come
ad Arli, ove Rodano stagna,
9.113
sì com'a
Pola, presso del Carnaro
9.114
ch'Italia chiude e suoi termini bagna,
9.115
fanno i
sepulcri tutt'il loco varo,
9.116
così
facevan quivi d'ogne parte,
9.117
salvo
che 'l modo v'era più amaro;
9.118
ché tra
gli avelli fiamme erano sparte,
9.119 per
le
quali eran sì del tutto accesi,
9.120 che
ferro più non chiede verun'arte.
9.121
Tutti li
lor coperchi eran sospesi,
9.122 e
fuor
n'uscivan sì duri lamenti,
9.123 che
ben
parean di miseri e d'offesi.
9.124 E
io:
«Maestro, quai son quelle genti
9.125 che,
seppellite dentro da quell'arche,
9.126 si
fan
sentir coi sospiri dolenti?».
9.127 Ed
elli
a me: «Qui son li eresiarche
9.128 con
lor
seguaci, d'ogne setta, e molto
9.129
più che
non credi son le tombe carche.
9.130
Simile
qui con simile è sepolto,
9.131 e i
monimenti son più e men caldi».
9.132 E
poi
ch'a la man destra si fu vòlto,
9.133
passammo
tra i martiri e li alti spaldi.
10. 1 Ora
sen
va per un secreto calle,
10. 2 tra
'l
muro de la terra e li martìri,
10. 3 lo
mio
maestro, e io dopo le spalle.
10. 4
«O virtù
somma, che per li empi giri
10. 5 mi
volvi», cominciai, «com'a te piace,
10. 6
parlami,
e sodisfammi a' miei disiri.
10. 7 La
gente
che per li sepolcri giace
10. 8
potrebbesi veder? già son levati
10. 9
tutt'i
coperchi, e nessun guardia face».
10. 10 E
quelli a me: «Tutti saran serrati
10. 11
quando
di Iosafàt qui torneranno
10. 12 coi
corpi che là sù hanno lasciati.
10. 13 Suo
cimitero da questa parte hanno
10. 14 con
Epicuro tutti suoi seguaci,
10. 15 che
l'anima col corpo morta fanno.
10. 16
Però a
la dimanda che mi faci
10. 17
quinc'entro satisfatto sarà tosto,
10. 18 e
al
disio ancor che tu mi taci».
10. 19 E
io:
«Buon duca, non tegno riposto
10. 20 a
te
mio cuor se non per dicer poco,
10. 21 e
tu
m'hai non pur mo a ciò disposto».
10. 22
«O
Tosco che per la città del foco
10. 23
vivo
ten vai così parlando onesto,
10. 24
piacciati di restare in questo loco.
10. 25 La
tua
loquela ti fa manifesto
10. 26 di
quella nobil patria natio
10. 27 a
la
qual forse fui troppo molesto».
10. 28
Subitamente questo suono uscìo
10. 29
d'una
de l'arche; però m'accostai,
10. 30
temendo, un poco più al duca mio.
10. 31 Ed
el
mi disse: «Volgiti! Che fai?
10. 32
Vedi là
Farinata che s'è dritto:
10. 33 da
la
cintola in sù tutto 'l vedrai».
10. 34 Io
avea
già il mio viso nel suo fitto;
10. 35 ed
el
s'ergea col petto e con la fronte
10. 36
com'avesse l'inferno a gran dispitto.
10. 37 E
l'animose man del duca e pronte
10. 38 mi
pinser tra le sepulture a lui,
10. 39
dicendo: «Le parole tue sien conte».
10. 40
Com'io
al piè de la sua tomba fui,
10. 41
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
10. 42 mi
dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».
10. 43 Io
ch'era d'ubidir disideroso,
10. 44 non
gliel celai, ma tutto gliel'apersi;
10. 45
ond'ei
levò le ciglia un poco in suso;
10. 46 poi
disse: «Fieramente furo avversi
10. 47 a
me e
a miei primi e a mia parte,
10. 48
sì che
per due fiate li dispersi».
10. 49
«S'ei
fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
10. 50
rispuos'io lui, «l'una e l'altra fiata;
10. 51 ma
i
vostri non appreser ben quell'arte».
10. 52
Allor
surse a la vista scoperchiata
10. 53
un'ombra, lungo questa, infino al mento:
10. 54
credo
che s'era in ginocchie levata.
10. 55
Dintorno mi guardò, come talento
10. 56
avesse
di veder s'altri era meco;
10. 57 e
poi che
'l sospecciar fu tutto spento,
10. 58
piangendo disse: «Se per questo cieco
10. 59
carcere
vai per altezza d'ingegno,
10. 60 mio
figlio ov'è? e perché non è
teco?».
10. 61 E
io a
lui: «Da me stesso non vegno:
10. 62
colui
ch'attende là, per qui mi mena
10. 63
forse
cui Guido vostro ebbe a disdegno».
10. 64 Le
sue
parole e 'l modo de la pena
10. 65
m'avean
di costui già letto il nome;
10. 66
però fu
la risposta così piena.
10. 67 Di
subito drizzato gridò: «Come?
10. 68
dicesti
"elli ebbe"? non viv'elli ancora?
10. 69 non
fiere li occhi suoi lo dolce lume?».
10. 70
Quando
s'accorse d'alcuna dimora
10. 71
ch'io
facea dinanzi a la risposta,
10. 72
supin
ricadde e più non parve fora.
10. 73 Ma
quell'altro magnanimo, a cui posta
10. 74
restato
m'era, non mutò aspetto,
10. 75
né
mosse collo, né piegò sua costa:
10. 76 e
sé
continuando al primo detto,
10. 77
«S'elli
han quell'arte», disse, «male appresa,
10. 78
ciò mi
tormenta più che questo letto.
10. 79 Ma
non
cinquanta volte fia raccesa
10. 80 la
faccia de la donna che qui regge,
10. 81 che
tu
saprai quanto quell'arte pesa.
10. 82 E
se tu
mai nel dolce mondo regge,
10. 83
dimmi:
perché quel popolo è sì empio
10. 84
incontr'a' miei in ciascuna sua legge?».
10. 85
Ond'io
a lui: «Lo strazio e 'l grande scempio
10. 86 che
fece l'Arbia colorata in rosso,
10. 87 tal
orazion fa far nel nostro tempio».
10. 88 Poi
ch'ebbe sospirando il capo mosso,
10. 89
«A ciò
non fu' io sol», disse, «né certo
10. 90
sanza
cagion con li altri sarei mosso.
10. 91 Ma
fu'
io solo, là dove sofferto
10. 92 fu
per
ciascun di tòrre via Fiorenza,
10. 93
colui
che la difesi a viso aperto».
10. 94
«Deh,
se riposi mai vostra semenza»,
10. 95
prega'
io lui, «solvetemi quel nodo
10. 96 che
qui
ha 'nviluppata mia sentenza.
10. 97 El
par
che voi veggiate, se ben odo,
10. 98
dinanzi
quel che 'l tempo seco adduce,
10. 99 e
nel
presente tenete altro modo».
10.100
«Noi
veggiam, come quei c'ha mala luce,
10.101 le
cose», disse, «che ne son lontano;
10.102
cotanto
ancor ne splende il sommo duce.
10.103
Quando
s'appressano o son, tutto è vano
10.104
nostro
intelletto; e s'altri non ci apporta,
10.105
nulla
sapem di vostro stato umano.
10.106
Però
comprender puoi che tutta morta
10.107 fia
nostra conoscenza da quel punto
10.108 che
del
futuro fia chiusa la porta».
10.109
Allor,
come di mia colpa compunto,
10.110
dissi:
«Or direte dunque a quel caduto
10.111 che
'l
suo nato è co' vivi ancor congiunto;
10.112 e
s'i'
fui, dianzi, a la risposta muto,
10.113
fate i
saper che 'l fei perché pensava
10.114
già ne
l'error che m'avete soluto».
10.115 E
già
'l maestro mio mi richiamava;
10.116 per
ch'i' pregai lo spirto più avaccio
10.117 che
mi
dicesse chi con lu' istava.
10.118
Dissemi: «Qui con più di mille giaccio:
10.119 qua
dentro è 'l secondo Federico,
10.120 e
'l
Cardinale; e de li altri mi taccio».
10.121
Indi
s'ascose; e io inver' l'antico
10.122
poeta
volsi i passi, ripensando
10.123 a
quel
parlar che mi parea nemico.
10.124
Elli si
mosse; e poi, così andando,
10.125 mi
disse: «Perché se' tu sì
smarrito?».
10.126 E
io li
sodisfeci al suo dimando.
10.127
«La
mente tua conservi quel ch'udito
10.128 hai
contra te», mi comandò quel saggio.
10.129
«E ora
attendi qui», e drizzò 'l dito:
10.130
«quando
sarai dinanzi al dolce raggio
10.131 di
quella il cui bell'occhio tutto vede,
10.132 da
lei
saprai di tua vita il viaggio».
10.133
Appresso mosse a man sinistra il piede:
10.134
lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo
10.135 per
un
sentier ch'a una valle fiede,
10.136 che
'nfin là sù facea spiacer suo lezzo.
11. 1 In
su
l'estremità d'un'alta ripa
11. 2 che
facevan gran pietre rotte in cerchio
11. 3
venimmo
sopra più crudele stipa;
11. 4 e
quivi,
per l'orribile soperchio
11. 5 del
puzzo che 'l profondo abisso gitta,
11. 6 ci
raccostammo,
in dietro, ad un coperchio
11. 7 d'un
grand'avello, ov'io vidi una scritta
11. 8 che
dicea: "Anastasio papa guardo,
11. 9 lo
qual
trasse Fotin de la via dritta".
11. 10 «Lo
nostro scender conviene esser tardo,
11. 11
sì che
s'ausi un poco in prima il senso
11. 12 al
tristo fiato; e poi no i fia riguardo».
11. 13
Così 'l
maestro; e io «Alcun compenso»,
11. 14
dissi
lui, «trova che 'l tempo non passi
11. 15
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò
penso».
11. 16
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
11. 17
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
11. 18 di
grado in grado, come que' che lassi.
11. 19
Tutti
son pien di spirti maladetti;
11. 20 ma
perché poi ti basti pur la vista,
11. 21
intendi
come e perché son costretti.
11. 22
D'ogne
malizia, ch'odio in cielo acquista,
11. 23
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
11. 24 o
con
forza o con frode altrui contrista.
11. 25 Ma
perché frode è de l'uom proprio male,
11. 26
più
spiace a Dio; e però stan di sotto
11. 27 li
frodolenti, e più dolor li assale.
11. 28 Di
violenti il primo cerchio è tutto;
11. 29 ma
perché si fa forza a tre persone,
11. 30 in
tre
gironi è distinto e costrutto.
11. 31 A
Dio,
a sé, al prossimo si pòne
11. 32 far
forza, dico in loro e in lor cose,
11. 33
come
udirai con aperta ragione.
11. 34
Morte
per forza e ferute dogliose
11. 35 nel
prossimo si danno, e nel suo avere
11. 36
ruine,
incendi e tollette dannose;
11. 37
onde
omicide e ciascun che mal fiere,
11. 38
guastatori e predon, tutti tormenta
11. 39 lo
giron primo per diverse schiere.
11. 40
Puote
omo avere in sé man violenta
11. 41 e
ne'
suoi beni; e però nel secondo
11. 42
giron
convien che sanza pro si penta
11. 43
qualunque priva sé del vostro mondo,
11. 44
biscazza e fonde la sua facultade,
11. 45 e
piange là dov'esser de' giocondo.
11. 46
Puossi
far forza nella deitade,
11. 47 col
cor
negando e bestemmiando quella,
11. 48 e
spregiando natura e sua bontade;
11. 49 e
però
lo minor giron suggella
11. 50 del
segno suo e Soddoma e Caorsa
11. 51 e
chi,
spregiando Dio col cor, favella.
11. 52 La
frode, ond'ogne coscienza è morsa,
11. 53
può
l'omo usare in colui che 'n lui fida
11. 54 e
in
quel che fidanza non imborsa.
11. 55
Questo
modo di retro par ch'incida
11. 56 pur
lo
vinco d'amor che fa natura;
11. 57
onde
nel cerchio secondo s'annida
11. 58
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
11. 59
falsità, ladroneccio e simonia,
11. 60
ruffian, baratti e simile lordura.
11. 61 Per
l'altro modo quell'amor s'oblia
11. 62 che
fa
natura, e quel ch'è poi aggiunto,
11. 63 di
che
la fede spezial si cria;
11. 64
onde
nel cerchio minore, ov'è 'l punto
11. 65 de
l'universo in su che Dite siede,
11. 66
qualunque trade in etterno è consunto».
11. 67 E
io:
«Maestro, assai chiara procede
11. 68 la
tua
ragione, e assai ben distingue
11. 69
questo
baràtro e 'l popol ch'e' possiede.
11. 70 Ma
dimmi: quei de la palude pingue,
11. 71 che
mena il vento, e che batte la pioggia,
11. 72 e
che
s'incontran con sì aspre lingue,
11. 73
perché
non dentro da la città roggia
11. 74
sono ei
puniti, se Dio li ha in ira?
11. 75 e
se
non li ha, perché sono a tal foggia?».
11. 76 Ed
elli
a me «Perché tanto delira»,
11. 77
disse
«lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
11. 78 o
ver
la mente dove altrove mira?
11. 79 Non
ti
rimembra di quelle parole
11. 80 con
le
quai la tua Etica pertratta
11. 81 le
tre
disposizion che 'l ciel non vole,
11. 82
incontenenza, malizia e la matta
11. 83
bestialitade? e come incontenenza
11. 84 men
Dio
offende e men biasimo accatta?
11. 85 Se
tu
riguardi ben questa sentenza,
11. 86 e
rechiti
a la mente chi son quelli
11. 87 che
sù
di fuor sostegnon penitenza,
11. 88 tu
vedrai ben perché da questi felli
11. 89
sien
dipartiti, e perché men crucciata
11. 90 la
divina vendetta li martelli».
11. 91
«O sol
che sani ogni vista turbata,
11. 92 tu
mi
contenti sì quando tu solvi,
11. 93
che,
non men che saver, dubbiar m'aggrata.
11. 94
Ancora
in dietro un poco ti rivolvi»,
11. 95
diss'io, «là dove di' ch'usura offende
11. 96 la
divina bontade, e 'l groppo solvi».
11. 97
«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
11. 98
nota,
non pure in una sola parte,
11. 99
come
natura lo suo corso prende
11.100 dal
divino 'ntelletto e da sua arte;
11.101 e
se tu
ben la tua Fisica note,
11.102 tu
troverai, non dopo molte carte,
11.103 che
l'arte vostra quella, quanto pote,
11.104
segue,
come 'l maestro fa 'l discente;
11.105
sì che
vostr'arte a Dio quasi è nepote.
11.106 Da
queste due, se tu ti rechi a mente
11.107 lo
Genesi dal principio, convene
11.108
prender
sua vita e avanzar la gente;
11.109 e
perché l'usuriere altra via tene,
11.110 per
sé
natura e per la sua seguace
11.111
dispregia, poi ch'in altro pon la spene.
11.112 Ma
seguimi oramai, che 'l gir mi piace;
11.113
ché i
Pesci guizzan su per l'orizzonta,
11.114 e
'l
Carro tutto sovra 'l Coro giace,
11.115 e
'l
balzo via là oltra si dismonta».
12. 1 Era
lo
loco ov'a scender la riva
12. 2
venimmo,
alpestro e, per quel che v'er'anco,
12. 3 tal,
ch'ogne vista ne sarebbe schiva.
12. 4 Qual
è
quella ruina che nel fianco
12. 5 di
qua
da Trento l'Adice percosse,
12. 6 o
per
tremoto o per sostegno manco,
12. 7 che
da
cima del monte, onde si mosse,
12. 8 al
piano
è sì la roccia discoscesa,
12. 9
ch'alcuna via darebbe a chi sù fosse:
12. 10
cotal
di quel burrato era la scesa;
12. 11 e
'n su
la punta de la rotta lacca
12. 12
l'infamia di Creti era distesa
12. 13 che
fu
concetta ne la falsa vacca;
12. 14 e
quando vide noi, sé stesso morse,
12. 15
sì come
quei cui l'ira dentro fiacca.
12. 16 Lo
savio mio inver' lui gridò: «Forse
12. 17 tu
credi che qui sia 'l duca d'Atene,
12. 18 che
sù
nel mondo la morte ti porse?
12. 19
Pàrtiti, bestia: ché questi non vene
12. 20
ammaestrato da la tua sorella,
12. 21 ma
vassi per veder le vostre pene».
12. 22
Qual è
quel toro che si slaccia in quella
12. 23
c'ha
ricevuto già 'l colpo mortale,
12. 24 che
gir
non sa, ma qua e là saltella,
12. 25
vid'io
lo Minotauro far cotale;
12. 26 e
quello accorto gridò: «Corri al varco:
12. 27
mentre
ch'e' 'nfuria, è buon che tu ti cale».
12. 28
Così
prendemmo via giù per lo scarco
12. 29 di
quelle pietre, che spesso moviensi
12. 30
sotto i
miei piedi per lo novo carco.
12. 31 Io
gia
pensando; e quei disse: «Tu pensi
12. 32
forse a
questa ruina ch'è guardata
12. 33 da
quell'ira bestial ch'i' ora spensi.
12. 34 Or
vo'
che sappi che l'altra fiata
12. 35
ch'i'
discesi qua giù nel basso inferno,
12. 36
questa
roccia non era ancor cascata.
12. 37 Ma
certo poco pria, se ben discerno,
12. 38 che
venisse colui che la gran preda
12. 39
levò a
Dite del cerchio superno,
12. 40 da
tutte parti l'alta valle feda
12. 41
tremò
sì, ch'i' pensai che l'universo
12. 42
sentisse amor, per lo qual è chi creda
12. 43
più
volte il mondo in caòsso converso;
12. 44 e
in
quel punto questa vecchia roccia
12. 45 qui
e
altrove, tal fece riverso.
12. 46 Ma
ficca li occhi a valle, ché s'approccia
12. 47 la
riviera del sangue in la qual bolle
12. 48
qual
che per violenza in altrui noccia».
12. 49 Oh
cieca cupidigia e ira folle,
12. 50 che
sì
ci sproni ne la vita corta,
12. 51 e
ne
l'etterna poi sì mal c'immolle!
12. 52 Io
vidi
un'ampia fossa in arco torta,
12. 53
come
quella che tutto 'l piano abbraccia,
12. 54
secondo
ch'avea detto la mia scorta;
12. 55 e
tra
'l piè de la ripa ed essa, in traccia
12. 56
corrien
centauri, armati di saette,
12. 57
come
solien nel mondo andare a caccia.
12. 58
Veggendoci calar, ciascun ristette,
12. 59 e
de la
schiera tre si dipartiro
12. 60 con
archi e asticciuole prima elette;
12. 61 e
l'un
gridò da lungi: «A qual martiro
12. 62
venite
voi che scendete la costa?
12. 63
Ditel
costinci; se non, l'arco tiro».
12. 64 Lo
mio
maestro disse: «La risposta
12. 65
farem
noi a Chirón costà di presso:
12. 66 mal
fu
la voglia tua sempre sì tosta».
12. 67 Poi
mi
tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
12. 68 che
morì per la bella Deianira
12. 69 e
fé di
sé la vendetta elli stesso.
12. 70 E
quel
di mezzo, ch'al petto si mira,
12. 71
è il
gran Chirón, il qual nodrì Achille;
12. 72
quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira.
12. 73
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
12. 74
saettando
qual anima si svelle
12. 75 del
sangue più che sua colpa sortille».
12. 76 Noi
ci
appressammo a quelle fiere isnelle:
12. 77
Chirón
prese uno strale, e con la cocca
12. 78
fece la
barba in dietro a le mascelle.
12. 79
Quando
s'ebbe scoperta la gran bocca,
12. 80
disse
a' compagni: «Siete voi accorti
12. 81 che
quel di retro move ciò ch'el tocca?
12. 82
Così
non soglion far li piè d'i morti».
12. 83 E
'l
mio buon duca, che già li er'al petto,
12. 84
dove le
due nature son consorti,
12. 85
rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
12. 86
mostrar
li mi convien la valle buia;
12. 87
necessità 'l ci 'nduce, e non diletto.
12. 88 Tal
si
partì da cantare alleluia
12. 89 che
mi
commise quest'officio novo:
12. 90 non
è
ladron, né io anima fuia.
12. 91 Ma
per
quella virtù per cu' io movo
12. 92 li
passi miei per sì selvaggia strada,
12. 93
danne
un de' tuoi, a cui noi siamo a provo,
12. 94 e
che
ne mostri là dove si guada
12. 95 e
che
porti costui in su la groppa,
12. 96
ché non
è spirto che per l'aere vada».
12. 97
Chirón
si volse in su la destra poppa,
12. 98 e
disse
a Nesso: «Torna, e sì li guida,
12. 99 e
fa
cansar s'altra schiera v'intoppa».
12.100 Or
ci
movemmo con la scorta fida
12.101
lungo
la proda del bollor vermiglio,
12.102
dove i
bolliti facieno alte strida.
12.103 Io
vidi
gente sotto infino al ciglio;
12.104 e
'l
gran centauro disse: «E' son tiranni
12.105 che
dier nel sangue e ne l'aver di piglio.
12.106
Quivi
si piangon li spietati danni;
12.107
quivi è
Alessandro, e Dionisio fero,
12.108 che
fé
Cicilia aver dolorosi anni.
12.109 E
quella fronte c'ha 'l pel così nero,
12.110
è
Azzolino; e quell'altro ch'è biondo,
12.111
è
Opizzo da Esti, il qual per vero
12.112 fu
spento dal figliastro sù nel mondo».
12.113
Allor
mi volsi al poeta, e quei disse:
12.114
«Questi
ti sia or primo, e io secondo».
12.115
Poco
più oltre il centauro s'affisse
12.116
sovr'una gente che 'nfino a la gola
12.117
parea
che di quel bulicame uscisse.
12.118
Mostrocci un'ombra da l'un canto sola,
12.119
dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
12.120 lo
cor
che 'n su Tamisi ancor si cola».
12.121 Poi
vidi gente che di fuor del rio
12.122
tenean
la testa e ancor tutto 'l casso;
12.123 e
di
costoro assai riconobb'io.
12.124
Così a
più a più si facea basso
12.125
quel
sangue, sì che cocea pur li piedi;
12.126 e
quindi fu del fosso il nostro passo.
12.127
«Sì
come tu da questa parte vedi
12.128 lo
bulicame che sempre si scema»,
12.129
disse
'l centauro, «voglio che tu credi
12.130 che
da
quest'altra a più a più giù prema
12.131 lo
fondo suo, infin ch'el si raggiunge
12.132 ove
la
tirannia convien che gema.
12.133 La
divina giustizia di qua punge
12.134
quell'Attila che fu flagello in terra
12.135 e
Pirro
e Sesto; e in etterno munge
12.136 le
lagrime, che col bollor diserra,
12.137 a
Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
12.138 che
fecero a le strade tanta guerra».
12.139 Poi
si
rivolse, e ripassossi 'l guazzo.
13. 1 Non
era
ancor di là Nesso arrivato,
13. 2
quando
noi ci mettemmo per un bosco
13. 3 che
da
neun sentiero era segnato.
13. 4 Non
fronda verde, ma di color fosco;
13. 5 non
rami
schietti, ma nodosi e 'nvolti;
13. 6 non
pomi
v'eran, ma stecchi con tòsco:
13. 7 non
han
sì aspri sterpi né sì folti
13. 8
quelle
fiere selvagge che 'n odio hanno
13. 9 tra
Cecina e Corneto i luoghi cólti.
13. 10
Quivi
le brutte Arpie lor nidi fanno,
13. 11 che
cacciar de le Strofade i Troiani
13. 12 con
tristo annunzio di futuro danno.
13. 13 Ali
hanno late, e colli e visi umani,
13. 14
piè con
artigli, e pennuto 'l gran ventre;
13. 15
fanno
lamenti in su li alberi strani.
13. 16 E
'l
buon maestro «Prima che più entre,
13. 17
sappi
che se' nel secondo girone»,
13. 18 mi
cominciò a dire, «e sarai mentre
13. 19 che
tu
verrai ne l'orribil sabbione.
13. 20
Però
riguarda ben; sì vederai
13. 21
cose
che torrien fede al mio sermone».
13. 22 Io
sentia d'ogne parte trarre guai,
13. 23 e
non
vedea persona che 'l facesse;
13. 24 per
ch'io tutto smarrito m'arrestai.
13. 25
Cred'io
ch'ei credette ch'io credesse
13. 26 che
tante voci uscisser, tra quei bronchi
13. 27 da
gente che per noi si nascondesse.
13. 28
Però
disse 'l maestro: «Se tu tronchi
13. 29
qualche
fraschetta d'una d'este piante,
13. 30 li
pensier c'hai si faran tutti monchi».
13. 31
Allor
porsi la mano un poco avante,
13. 32 e
colsi
un ramicel da un gran pruno;
13. 33 e
'l
tronco suo gridò: «Perché mi
schiante?».
13. 34 Da che
fatto fu poi di sangue bruno,
13. 35
ricominciò a dir: «Perché mi scerpi?
13. 36 non
hai
tu spirto di pietade alcuno?
13. 37
Uomini
fummo, e or siam fatti sterpi:
13. 38 ben
dovrebb'esser la tua man più pia,
13. 39 se
state fossimo anime di serpi».
13. 40
Come
d'un stizzo verde ch'arso sia
13. 41 da
l'un
de'capi, che da l'altro geme
13. 42 e
cigola per vento che va via,
13. 43
sì de
la scheggia rotta usciva insieme
13. 44
parole
e sangue; ond'io lasciai la cima
13. 45
cadere,
e stetti come l'uom che teme.
13. 46
«S'elli
avesse potuto creder prima»,
13. 47
rispuose 'l savio mio, «anima lesa,
13. 48
ciò
c'ha veduto pur con la mia rima,
13. 49 non
averebbe in te la man distesa;
13. 50 ma
la
cosa incredibile mi fece
13. 51
indurlo
ad ovra ch'a me stesso pesa.
13. 52 Ma
dilli chi tu fosti, sì che 'n vece
13. 53
d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi
13. 54 nel
mondo sù, dove tornar li lece».
13. 55 E
'l
tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi,
13. 56
ch'i'
non posso tacere; e voi non gravi
13. 57
perch'io un poco a ragionar m'inveschi.
13. 58 Io
son
colui che tenni ambo le chiavi
13. 59 del
cor
di Federigo, e che le volsi,
13. 60
serrando e diserrando, sì soavi,
13. 61 che
dal
secreto suo quasi ogn'uom tolsi:
13. 62
fede
portai al glorioso offizio,
13. 63
tanto
ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi.
13. 64 La
meretrice che mai da l'ospizio
13. 65 di
Cesare non torse li occhi putti,
13. 66
morte
comune e de le corti vizio,
13. 67
infiammò contra me li animi tutti;
13. 68 e
li
'nfiammati infiammar sì Augusto,
13. 69 che
'
lieti onor tornaro in tristi lutti.
13. 70
L'animo
mio, per disdegnoso gusto,
13. 71
credendo col morir fuggir disdegno,
13. 72
ingiusto
fece me contra me giusto.
13. 73 Per
le
nove radici d'esto legno
13. 74 vi
giuro che già mai non ruppi fede
13. 75 al
mio
segnor, che fu d'onor sì degno.
13. 76 E
se di
voi alcun nel mondo riede,
13. 77
conforti la memoria mia, che giace
13. 78
ancor del
colpo che 'nvidia le diede».
13. 79 Un
poco
attese, e poi «Da ch'el si tace»,
13. 80
disse
'l poeta a me, «non perder l'ora;
13. 81 ma
parla, e chiedi a lui, se più ti piace».
13. 82
Ond'io
a lui: «Domandal tu ancora
13. 83 di
quel
che credi ch'a me satisfaccia;
13. 84
ch'i'
non potrei, tanta pietà m'accora».
13. 85
Perciò
ricominciò: «Se l'om ti faccia
13. 86
liberamente ciò che 'l tuo dir priega,
13. 87
spirito
incarcerato, ancor ti piaccia
13. 88 di
dirne come l'anima si lega
13. 89 in
questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
13. 90
s'alcuna mai di tai membra si spiega».
13. 91
Allor
soffiò il tronco forte, e poi
13. 92 si
convertì quel vento in cotal voce:
13. 93
«Brievemente sarà risposto a voi.
13. 94
Quando
si parte l'anima feroce
13. 95 dal
corpo ond'ella stessa s'è disvelta,
13. 96
Minòs
la manda a la settima foce.
13. 97
Cade in
la selva, e non l'è parte scelta;
13. 98 ma
là
dove fortuna la balestra,
13. 99
quivi
germoglia come gran di spelta.
13.100
Surge
in vermena e in pianta silvestra:
13.101
l'Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
13.102
fanno
dolore, e al dolor fenestra.
13.103
Come
l'altre verrem per nostre spoglie,
13.104 ma
non
però ch'alcuna sen rivesta,
13.105
ché non
è giusto aver ciò ch'om si toglie.
13.106 Qui
le
trascineremo, e per la mesta
13.107
selva
saranno i nostri corpi appesi,
13.108
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta».
13.109 Noi
eravamo ancora al tronco attesi,
13.110
credendo ch'altro ne volesse dire,
13.111
quando
noi fummo d'un romor sorpresi,
13.112
similemente a colui che venire
13.113
sente
'l porco e la caccia a la sua posta,
13.114
ch'ode
le bestie, e le frasche stormire.
13.115 Ed
ecco
due da la sinistra costa,
13.116
nudi e
graffiati, fuggendo sì forte,
13.117 che
de
la selva rompieno ogni rosta.
13.118 Quel
dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!».
13.119 E
l'altro, cui pareva tardar troppo,
13.120
gridava: «Lano, sì non furo accorte
13.121 le
gambe tue a le giostre dal Toppo!».
13.122 E
poi
che forse li fallia la lena,
13.123 di
sé e
d'un cespuglio fece un groppo.
13.124 Di
rietro a loro era la selva piena
13.125 di
nere
cagne, bramose e correnti
13.126
come
veltri ch'uscisser di catena.
13.127 In
quel
che s'appiattò miser li denti,
13.128 e
quel
dilaceraro a brano a brano;
13.129 poi
sen
portar quelle membra dolenti.
13.130
Presemi
allor la mia scorta per mano,
13.131 e
menommi al cespuglio che piangea,
13.132 per
le
rotture sanguinenti in vano.
13.133
«O
Iacopo», dicea, «da Santo Andrea,
13.134 che
t'è
giovato di me fare schermo?
13.135 che
colpa ho io de la tua vita rea?».
13.136
Quando
'l maestro fu sovr'esso fermo,
13.137
disse
«Chi fosti, che per tante punte
13.138
soffi
con sangue doloroso sermo?».
13.139 Ed
elli
a noi: «O anime che giunte
13.140
siete a
veder lo strazio disonesto
13.141
c'ha le
mie fronde sì da me disgiunte,
13.142
raccoglietele al piè del tristo cesto.
13.143 I'
fui
de la città che nel Batista
13.144
mutò il
primo padrone; ond'ei per questo
13.145
sempre
con l'arte sua la farà trista;
13.146 e
se
non fosse che 'n sul passo d'Arno
13.147
rimane
ancor di lui alcuna vista,
13.148
que'
cittadin che poi la rifondarno
13.149
sovra
'l cener che d'Attila rimase,
13.150
avrebber fatto lavorare indarno.
13.151 Io
fei
gibetto a me de le mie case».
14. 1 Poi
che la
carità del natio loco
14. 2 mi
strinse, raunai le fronde sparte,
14. 3 e
rende'le a colui, ch'era già fioco.
14. 4 Indi
venimmo al fine ove si parte
14. 5 lo
secondo giron dal terzo, e dove
14. 6 si
vede
di giustizia orribil arte.
14. 7 A
ben
manifestar le cose nove,
14. 8 dico
che
arrivammo ad una landa
14. 9 che
dal
suo letto ogne pianta rimove.
14. 10 La
dolorosa selva l'è ghirlanda
14. 11
intorno, come 'l fosso tristo ad essa:
14. 12
quivi
fermammo i passi a randa a randa.
14. 13 Lo
spazzo era una rena arida e spessa,
14. 14 non
d'altra foggia fatta che colei
14. 15 che
fu
da' piè di Caton già soppressa.
14. 16 O
vendetta di Dio, quanto tu dei
14. 17
esser
temuta da ciascun che legge
14. 18
ciò che
fu manifesto a li occhi miei!
14. 19
D'anime
nude vidi molte gregge
14. 20 che
piangean tutte assai miseramente,
14. 21 e
parea
posta lor diversa legge.
14. 22
Supin
giacea in terra alcuna gente,
14. 23
alcuna
si sedea tutta raccolta,
14. 24 e
altra
andava continuamente.
14. 25
Quella
che giva intorno era più molta,
14. 26 e
quella men che giacea al tormento,
14. 27 ma
più
al duolo avea la lingua sciolta.
14. 28
Sovra
tutto 'l sabbion, d'un cader lento,
14. 29
piovean
di foco dilatate falde,
14. 30
come di
neve in alpe sanza vento.
14. 31
Quali
Alessandro in quelle parti calde
14. 32
d'India
vide sopra 'l suo stuolo
14. 33
fiamme
cadere infino a terra salde,
14. 34 per
ch'ei provide a scalpitar lo suolo
14. 35 con
le
sue schiere, acciò che lo vapore
14. 36 mei
si
stingueva mentre ch'era solo:
14. 37
tale
scendeva l'etternale ardore;
14. 38
onde la
rena s'accendea, com'esca
14. 39
sotto
focile, a doppiar lo dolore
.
14. 40
Sanza
riposo mai era la tresca
14. 41 de
le
misere mani, or quindi or quinci
14. 42
escotendo da sé l'arsura fresca.
14. 43 I' cominciai:
«Maestro, tu che vinci
14. 44
tutte
le cose, fuor che ' demon duri
14. 45
ch'a
l'intrar de la porta incontra uscinci,
14. 46 chi
è
quel grande che non par che curi
14. 47 lo
'ncendio e giace dispettoso e torto,
14. 48
sì che
la pioggia non par che 'l marturi?».
14. 49 E
quel
medesmo, che si fu accorto
14. 50
ch'io
domandava il mio duca di lui,
14. 51
gridò:
«Qual io fui vivo, tal son morto.
14. 52 Se
Giove stanchi 'l suo fabbro da cui
14. 53
crucciato prese la folgore aguta
14. 54
onde
l'ultimo dì percosso fui;
14. 55 o
s'elli stanchi li altri a muta a muta
14. 56 in
Mongibello a la focina negra,
14. 57
chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",
14. 58
sì
com'el fece a la pugna di Flegra,
14. 59 e
me
saetti con tutta sua forza,
14. 60 non
ne
potrebbe aver vendetta allegra».
14. 61
Allora
il duca mio parlò di forza
14. 62
tanto,
ch'i' non l'avea sì forte udito:
14. 63
«O
Capaneo, in ciò che non s'ammorza
14. 64 la
tua
superbia, se' tu più punito:
14. 65
nullo
martiro, fuor che la tua rabbia,
14. 66
sarebbe
al tuo furor dolor compito».
14. 67 Poi
si
rivolse a me con miglior labbia
14. 68
dicendo: «Quei fu l'un d'i sette regi
14. 69
ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch'elli abbia
14. 70 Dio
in
disdegno, e poco par che 'l pregi;
14. 71 ma,
com'io dissi lui, li suoi dispetti
14. 72
sono al
suo petto assai debiti fregi.
14. 73 Or
mi
vien dietro, e guarda che non metti,
14. 74
ancor,
li piedi ne la rena arsiccia;
14. 75 ma
sempre al bosco tien li piedi stretti».
14. 76
Tacendo
divenimmo là 've spiccia
14. 77
fuor de
la selva un picciol fiumicello,
14. 78 lo
cui
rossore ancor mi raccapriccia.
14. 79
Quale
del Bulicame esce ruscello
14. 80 che
parton poi tra lor le peccatrici,
14. 81 tal
per
la rena giù sen giva quello.
14. 82 Lo
fondo suo e ambo le pendici
14. 83
fatt'era 'n pietra, e ' margini dallato;
14. 84 per
ch'io m'accorsi che 'l passo era lici.
14. 85
«Tra
tutto l'altro ch'i' t'ho dimostrato,
14. 86
poscia
che noi intrammo per la porta
14. 87 lo
cui
sogliare a nessuno è negato,
14. 88
cosa non
fu da li tuoi occhi scorta
14. 89
notabile com'è 'l presente rio,
14. 90 che
sovra sé tutte fiammelle ammorta».
14. 91
Queste
parole fuor del duca mio;
14. 92 per
ch'io 'l pregai che mi largisse 'l pasto
14. 93 di
cui
largito m'avea il disio.
14. 94
«In
mezzo mar siede un paese guasto»,
14. 95
diss'elli allora, «che s'appella Creta,
14. 96
sotto
'l cui rege fu già 'l mondo casto.
14. 97 Una
montagna v'è che già fu lieta
14. 98
d'acqua
e di fronde, che si chiamò Ida:
14. 99 or
è
diserta come cosa vieta.
14.100 Rea
la
scelse già per cuna fida
14.101 del
suo
figliuolo, e per celarlo meglio,
14.102
quando
piangea, vi facea far le grida.
14.103
Dentro
dal monte sta dritto un gran veglio,
14.104 che
tien volte le spalle inver' Dammiata
14.105 e
Roma
guarda come suo speglio.
14.106 La
sua
testa è di fin oro formata,
14.107 e
puro
argento son le braccia e 'l petto,
14.108 poi
è
di rame infino a la forcata;
14.109 da
indi
in giuso è tutto ferro eletto,
14.110
salvo
che 'l destro piede è terra cotta;
14.111 e
sta
'n su quel più che 'n su l'altro, eretto.
14.112
Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta
14.113
d'una
fessura che lagrime goccia,
14.114 le
quali, accolte, foran quella grotta.
14.115 Lor
corso in questa valle si diroccia:
14.116
fanno
Acheronte, Stige e Flegetonta;
14.117 poi
sen
van giù per questa stretta doccia
14.118
infin,
là ove più non si dismonta
14.119
fanno
Cocito; e qual sia quello stagno
14.120 tu
lo
vedrai, però qui non si conta».
14.121 E
io a
lui: «Se 'l presente rigagno
14.122 si
diriva
così dal nostro mondo,
14.123
perché
ci appar pur a questo vivagno?».
14.124 Ed
elli
a me: «Tu sai che 'l loco è tondo;
14.125 e
tutto
che tu sie venuto molto,
14.126 pur
a
sinistra, giù calando al fondo,
14.127 non
se'
ancor per tutto il cerchio vòlto:
14.128 per
che, se cosa n'apparisce nova,
14.129 non
de'
addur maraviglia al tuo volto».
14.130 E
io
ancor: «Maestro, ove si trova
14.131
Flegetonta e Letè? ché de l'un taci,
14.132 e
l'altro di' che si fa d'esta piova».
14.133
«In
tutte tue question certo mi piaci»,
14.134
rispuose; «ma 'l bollor de l'acqua rossa
14.135
dovea
ben solver l'una che tu faci.
14.136
Letè
vedrai, ma fuor di questa fossa,
14.137
là dove
vanno l'anime a lavarsi
14.138
quando
la colpa pentuta è rimossa».
14.139 Poi
disse: «Omai è tempo da scostarsi
14.140 dal
bosco; fa che di retro a me vegne:
14.141 li
margini fan via, che non son arsi,
14.142 e
sopra
loro ogne vapor si spegne».
15. 1 Ora
cen
porta l'un de' duri margini;
15. 2 e 'l
fummo del ruscel di sopra aduggia,
15. 3
sì che
dal foco salva l'acqua e li argini.
15. 4
Quali
Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
15. 5
temendo
'l fiotto che 'nver lor s'avventa,
15. 6
fanno lo
schermo perché 'l mar si fuggia;
15. 7 e
quali
Padoan lungo la Brenta,
15. 8 per
difender lor ville e lor castelli,
15. 9 anzi
che
Carentana il caldo senta:
15. 10 a
tale
imagine eran fatti quelli,
15. 11
tutto
che né sì alti né sì grossi,
15. 12
qual
che si fosse, lo maestro felli.
15. 13
Già
eravam da la selva rimossi
15. 14
tanto,
ch'i' non avrei visto dov'era,
15. 15
perch'io in dietro rivolto mi fossi,
15. 16
quando
incontrammo d'anime una schiera
15. 17 che
venìan lungo l'argine, e ciascuna
15. 18 ci
riguardava come suol da sera
15. 19
guardare uno altro sotto nuova luna;
15. 20 e
sì
ver' noi aguzzavan le ciglia
15. 21
come 'l
vecchio sartor fa ne la cruna.
15. 22
Così
adocchiato da cotal famiglia,
15. 23 fui
conosciuto da un, che mi prese
15. 24 per
lo
lembo e gridò: «Qual maraviglia!».
15. 25 E
io,
quando 'l suo braccio a me distese,
15. 26
ficcai
li occhi per lo cotto aspetto,
15. 27
sì che
'l viso abbrusciato non difese
15. 28 la
conoscenza sua al mio 'ntelletto;
15. 29 e
chinando la mano a la sua faccia,
15. 30
rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
15. 31 E quelli:
«O figliuol mio, non ti dispiaccia
15. 32 se
Brunetto Latino un poco teco
15. 33 c e
lascia andar la traccia».
15. 34 I'
dissi lui: «Quanto posso, ven preco;
15. 35 e
se
volete che con voi m'asseggia,
15. 36
faròl,
se piace a costui che vo seco».
15. 37
«O
figliuol», disse, «qual di questa greggia
15. 38
s'arresta punto, giace poi cent'anni
15. 39
sanz'arrostarsi quando 'l foco il feggia.
15. 40
Però va
oltre: i' ti verrò a' panni;
15. 41 e
poi
rigiugnerò la mia masnada,
15. 42 che
va
piangendo i suoi etterni danni».
15. 43 I'
non
osava scender de la strada
15. 44 per
andar par di lui; ma 'l capo chino
15. 45
tenea
com'uom che reverente vada.
15. 46 El
cominciò: «Qual fortuna o destino
15. 47
anzi
l'ultimo dì qua giù ti mena?
15. 48 e
chi è
questi che mostra 'l cammino?».
15. 49
«Là sù
di sopra, in la vita serena»,
15. 50
rispuos'io lui, «mi smarri' in una valle,
15. 51
avanti
che l'età mia fosse piena.
15. 52 Pur
ier
mattina le volsi le spalle:
15. 53
questi
m'apparve, tornand'io in quella,
15. 54 e
reducemi a ca per questo calle».
15. 55 Ed
elli
a me: «Se tu segui tua stella,
15. 56 non
puoi fallire a glorioso porto,
15. 57 se
ben
m'accorsi ne la vita bella;
15. 58 e
s'io
non fossi sì per tempo morto,
15. 59
veggendo il cielo a te così benigno,
15. 60
dato
t'avrei a l'opera conforto.
15. 61 Ma
quello ingrato popolo maligno
15. 62 che
discese di Fiesole ab antico,
15. 63 e
tiene
ancor del monte e del macigno,
15. 64 ti
si
farà, per tuo ben far, nimico:
15. 65 ed
è
ragion, ché tra li lazzi sorbi
15. 66 si
disconvien fruttare al dolce fico.
15. 67
Vecchia
fama nel mondo li chiama orbi;
15. 68
gent'è
avara, invidiosa e superba:
15. 69 dai
lor
costumi fa che tu ti forbi.
15. 70 La
tua
fortuna tanto onor ti serba,
15. 71 che
l'una parte e l'altra avranno fame
15. 72 di
te;
ma lungi fia dal becco l'erba.
15. 73
Faccian
le bestie fiesolane strame
15. 74 di
lor
medesme, e non tocchin la pianta,
15. 75
s'alcuna surge ancora in lor letame,
15. 76 in
cui
riviva la sementa santa
15. 77 di
que'
Roman che vi rimaser quando
15. 78 fu
fatto il nido di malizia tanta».
15. 79
«Se
fosse tutto pieno il mio dimando»,
15. 80
rispuos'io lui, «voi non sareste ancora
15. 81 de
l'umana natura posto in bando;
15. 82
ché 'n
la mente m'è fitta, e or m'accora,
15. 83 la
cara
e buona imagine paterna
15. 84 di
voi
quando nel mondo ad ora ad ora
15. 85
m'insegnavate come l'uom s'etterna:
15. 86 e
quant'io l'abbia in grado, mentr'io vivo
15. 87
convien
che ne la mia lingua si scerna.
15. 88
Ciò che
narrate di mio corso scrivo,
15. 89 e
serbolo a chiosar con altro testo
15. 90 a
donna
che saprà, s'a lei arrivo.
15. 91
Tanto
vogl'io che vi sia manifesto,
15. 92 pur
che
mia coscienza non mi garra,
15. 93 che
a
la Fortuna, come vuol, son presto.
15. 94 Non
è
nuova a li orecchi miei tal arra:
15. 95
però
giri Fortuna la sua rota
15. 96
come le
piace, e 'l villan la sua marra».
15. 97 Lo
mio
maestro allora in su la gota
15. 98
destra
si volse in dietro, e riguardommi;
15. 99 poi
disse: «Bene ascolta chi la nota».
15.100
Né per tanto
di men parlando vommi
15.101 con
ser
Brunetto, e dimando chi sono
15.102 li
suoi
compagni più noti e più sommi.
15.103 Ed
elli
a me: «Saper d'alcuno è buono;
15.104 de
li
altri fia laudabile tacerci,
15.105
ché 'l
tempo sarìa corto a tanto suono.
15.106 In
somma sappi che tutti fur cherci
15.107 e
litterati grandi e di gran fama,
15.108
d'un
peccato medesmo al mondo lerci.
15.109
Priscian sen va con quella turba grama,
15.110 e
Francesco d'Accorso anche; e vedervi,
15.111
s'avessi avuto di tal tigna brama,
15.112
colui
potei che dal servo de' servi
15.113 fu
trasmutato d'Arno in Bacchiglione,
15.114
dove
lasciò li mal protesi nervi.
15.115 Di
più
direi; ma 'l venire e 'l sermone
15.116
più
lungo esser non può, però ch'i' veggio
15.117
là
surger nuovo fummo del sabbione.
15.118
Gente
vien con la quale esser non deggio.
15.119
Sieti
raccomandato il mio Tesoro
15.120 nel
qual io vivo ancora, e più non cheggio».
15.121 Poi
si
rivolse, e parve di coloro
15.122 che
corrono a Verona il drappo verde
15.123 per
la
campagna; e parve di costoro
15.124
quelli
che vince, non colui che perde.
16. 1
Già era
in loco onde s'udìa 'l rimbombo
16. 2 de
l'acqua che cadea ne l'altro giro,
16. 3
simile a
quel che l'arnie fanno rombo,
16. 4
quando tre
ombre insieme si partiro,
16. 5
correndo, d'una torma che passava
16. 6
sotto la
pioggia de l'aspro martiro.
16. 7
Venian
ver noi, e ciascuna gridava:
16. 8
«Sòstati
tu ch'a l'abito ne sembri
16. 9
esser
alcun di nostra terra prava».
16. 10
Ahimè,
che piaghe vidi ne' lor membri
16. 11
ricenti
e vecchie, da le fiamme incese!
16. 12
Ancor
men duol pur ch'i' me ne rimembri.
16. 13 A
le
lor grida il mio dottor s'attese;
16. 14
volse
'l viso ver me, e: «Or aspetta»,
16. 15
disse
«a costor si vuole esser cortese.
16. 16 E
se
non fosse il foco che saetta
16. 17 la
natura del loco, i' dicerei
16. 18 che
meglio stesse a te che a lor la fretta».
16. 19
Ricominciar, come noi restammo, ei
16. 20
l'antico verso; e quando a noi fuor giunti,
16. 21
fenno
una rota di sé tutti e trei.
16. 22
Qual
sogliono i campion far nudi e unti,
16. 23
avvisando lor presa e lor vantaggio,
16. 24
prima
che sien tra lor battuti e punti,
16. 25
così
rotando, ciascuno il visaggio
16. 26
drizzava a me, sì che 'n contraro il collo
16. 27
faceva
ai piè continuo viaggio.
16. 28 E
«Se
miseria d'esto loco sollo
16. 29
rende
in dispetto noi e nostri prieghi»,
16. 30
cominciò l'uno «e 'l tinto aspetto e brollo,
16. 31 la
fama
nostra il tuo animo pieghi
16. 32 a
dirne
chi tu se', che i vivi piedi
16. 33
così
sicuro per lo 'nferno freghi.
16. 34
Questi,
l'orme di cui pestar mi vedi,
16. 35
tutto
che nudo e dipelato vada,
16. 36 fu
di
grado maggior che tu non credi:
16. 37
nepote
fu de la buona Gualdrada;
16. 38
Guido
Guerra ebbe nome, e in sua vita
16. 39
fece
col senno assai e con la spada.
16. 40
L'altro, ch'appresso me la rena trita,
16. 41
è
Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
16. 42 nel
mondo sù dovrìa esser gradita.
16. 43 E
io,
che posto son con loro in croce,
16. 44
Iacopo
Rusticucci fui; e certo
16. 45 la
fiera moglie più ch'altro mi nuoce».
16. 46
S'i'
fossi stato dal foco coperto,
16. 47
gittato
mi sarei tra lor di sotto,
16. 48 e
credo
che 'l dottor l'avria sofferto;
16. 49 ma
perch'io mi sarei brusciato e cotto,
16. 50
vinse
paura la mia buona voglia
16. 51 che
di
loro abbracciar mi facea ghiotto.
16. 52 Poi
cominciai: «Non dispetto, ma doglia
16. 53 la
vostra condizion dentro mi fisse,
16. 54
tanta
che tardi tutta si dispoglia,
16. 55
tosto
che questo mio segnor mi disse
16. 56
parole
per le quali i' mi pensai
16. 57 che
qual voi siete, tal gente venisse.
16. 58 Di
vostra terra sono, e sempre mai
16. 59
l'ovra
di voi e li onorati nomi
16. 60 con
affezion ritrassi e ascoltai.
16. 61
Lascio
lo fele e vo per dolci pomi
16. 62
promessi
a me per lo verace duca;
16. 63 ma
'nfino al centro pria convien ch'i' tomi».
16. 64
«Se
lungamente l'anima conduca
16. 65 le
membra tue», rispuose quelli ancora,
16. 66
«e se
la fama tua dopo te luca,
16. 67
cortesia e valor dì se dimora
16. 68 ne
la
nostra città sì come suole,
16. 69 o
se
del tutto se n'è gita fora;
16. 70
ché
Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
16. 71 con
noi
per poco e va là coi compagni,
16. 72
assai
ne cruccia con le sue parole».
16. 73
«La
gente nuova e i sùbiti guadagni
16. 74
orgoglio e dismisura han generata,
16. 75
Fiorenza, in te, sì che tu già ten
piagni».
16. 76
Così
gridai con la faccia levata;
16. 77 e i
tre, che ciò inteser per risposta,
16. 78
guardar
l'un l'altro com'al ver si guata.
16. 79
«Se
l'altre volte sì poco ti costa»,
16. 80
rispuoser tutti «il satisfare altrui,
16. 81
felice
te se sì parli a tua posta!
16. 82
Però,
se campi d'esti luoghi bui
16. 83 e
torni
a riveder le belle stelle,
16. 84
quando
ti gioverà dicere "I' fui",
16. 85 fa
che
di noi a la gente favelle».
16. 86
Indi
rupper la rota, e a fuggirsi
16. 87 ali
sembiar le gambe loro isnelle.
16. 88 Un
amen
non saria potuto dirsi
16. 89
tosto
così com'e' fuoro spariti;
16. 90 per
ch'al maestro parve di partirsi.
16. 91 Io
lo
seguiva, e poco eravam iti,
16. 92 che
'l
suon de l'acqua n'era sì vicino,
16. 93 che
per
parlar saremmo a pena uditi.
16. 94
Come
quel fiume c'ha proprio cammino
16. 95
prima
dal Monte Viso 'nver' levante,
16. 96 da
la
sinistra costa d'Apennino,
16. 97 che
si
chiama Acquacheta suso, avante
16. 98 che
si
divalli giù nel basso letto,
16. 99 e a
Forlì di quel nome è vacante,
16.100
rimbomba là sovra San Benedetto
16.101 de
l'Alpe per cadere ad una scesa
16.102 ove
dovea per mille esser recetto;
16.103
così,
giù d'una ripa discoscesa,
16.104
trovammo risonar quell'acqua tinta,
16.105
sì che
'n poc'ora avria l'orecchia offesa.
16.106 Io
avea
una corda intorno cinta,
16.107 e
con
essa pensai alcuna volta
16.108
prender
la lonza a la pelle dipinta.
16.109
Poscia
ch'io l'ebbi tutta da me sciolta,
16.110
sì come
'l duca m'avea comandato,
16.111
porsila
a lui aggroppata e ravvolta.
16.112
Ond'ei
si volse inver' lo destro lato,
16.113 e
alquanto di lunge da la sponda
16.114 la
gittò giuso in quell'alto burrato.
16.115
"E' pur convien che novità risponda"
16.116
dicea
fra me medesmo "al novo cenno
16.117 che
'l
maestro con l'occhio sì seconda".
16.118 Ahi
quanto cauti li uomini esser dienno
16.119
presso
a color che non veggion pur l'ovra,
16.120 ma
per
entro i pensier miran col senno!
16.121 El
disse a me: «Tosto verrà di sovra
16.122
ciò
ch'io attendo e che il tuo pensier sogna:
16.123
tosto
convien ch'al tuo viso si scovra».
16.124
Sempre
a quel ver c'ha faccia di menzogna
16.125 de'
l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote,
16.126
però
che sanza colpa fa vergogna;
16.127 ma
qui
tacer nol posso; e per le note
16.128 di
questa comedìa, lettor, ti giuro,
16.129
s'elle
non sien di lunga grazia vòte,
16.130
ch'i'
vidi per quell'aere grosso e scuro
16.131
venir
notando una figura in suso,
16.132
maravigliosa ad ogne cor sicuro,
16.133
sì come
torna colui che va giuso
16.134
talora
a solver l'àncora ch'aggrappa
16.135 o
scoglio o altro che nel mare è chiuso,
16.136 che
'n
sù si stende, e da piè si rattrappa.
17. 1
«Ecco la
fiera con la coda aguzza,
17. 2 che
passa i monti, e rompe i muri e l'armi!
17. 3 Ecco
colei che tutto 'l mondo appuzza!».
17. 4
Sì
cominciò lo mio duca a parlarmi;
17. 5 e
accennolle che venisse a proda
17. 6
vicino
al fin d'i passeggiati marmi.
17. 7 E
quella
sozza imagine di froda
17. 8 sen
venne, e arrivò la testa e 'l busto,
17. 9 ma
'n su
la riva non trasse la coda.
17. 10 La
faccia sua era faccia d'uom giusto,
17. 11
tanto
benigna avea di fuor la pelle,
17. 12 e
d'un
serpente tutto l'altro fusto;
17. 13 due
branche avea pilose insin l'ascelle;
17. 14 lo
dosso e 'l petto e ambedue le coste
17. 15
dipinti
avea di nodi e di rotelle.
17. 16 Con
più
color, sommesse e sovraposte
17. 17 non
fer
mai drappi Tartari né Turchi,
17. 18
né fuor
tai tele per Aragne imposte.
17. 19
Come
tal volta stanno a riva i burchi,
17. 20 che
parte sono in acqua e parte in terra,
17. 21 e
come
là tra li Tedeschi lurchi
17. 22 lo
bivero s'assetta a far sua guerra,
17. 23
così la
fiera pessima si stava
17. 24 su
l'orlo ch'è di pietra e 'l sabbion serra.
17. 25 Nel
vano tutta sua coda guizzava,
17. 26
torcendo in sù la venenosa forca
17. 27
ch'a
guisa di scorpion la punta armava.
17. 28 Lo
duca
disse: «Or convien che si torca
17. 29 la
nostra via un poco insino a quella
17. 30
bestia
malvagia che colà si corca».
17. 31
Però
scendemmo a la destra mammella,
17. 32 e
diece
passi femmo in su lo stremo,
17. 33 per
ben
cessar la rena e la fiammella.
17. 34 E
quando noi a lei venuti semo,
17. 35
poco
più oltre veggio in su la rena
17. 36
gente
seder propinqua al loco scemo.
17. 37
Quivi
'l maestro «Acciò che tutta piena
17. 38
esperienza d'esto giron porti»,
17. 39 mi
disse, «va, e vedi la lor mena.
17. 40 Li
tuoi
ragionamenti sian là corti:
17. 41
mentre
che torni, parlerò con questa,
17. 42 che
ne
conceda i suoi omeri forti».
17. 43
Così
ancor su per la strema testa
17. 44 di
quel
settimo cerchio tutto solo
17. 45
andai,
dove sedea la gente mesta.
17. 46 Per
li
occhi fora scoppiava lor duolo;
17. 47
è di
qua, di là soccorrien con le mani
17. 48
quando
a' vapori, e quando al caldo suolo:
17. 49 non
altrimenti fan di state i cani
17. 50 or
col
ceffo, or col piè, quando son morsi
17.
51 o da pulci o da mosche o da tafani.
17. 52 Poi
che
nel viso a certi li occhi porsi,
17. 53 ne'
quali 'l doloroso foco casca,
17. 54 non
ne
conobbi alcun; ma io m'accorsi
17. 55 che
dal
collo a ciascun pendea una tasca
17. 56
ch'avea
certo colore e certo segno,
17. 57 e
quindi par che 'l loro occhio si pasca.
17. 58 E
com'io riguardando tra lor vegno,
17. 59 in
una
borsa gialla vidi azzurro
17. 60 che
d'un leone avea faccia e contegno
17. 61
Poi,
procedendo di mio sguardo il curro,
17. 62
vidine
un'altra come sangue rossa,
17. 63
mostrando un'oca bianca più che burro.
17. 64 E
un
che d'una scrofa azzurra e grossa
17. 65
segnato
avea lo suo sacchetto bianco,
17. 66 mi
disse: «Che fai tu in questa fossa?
17. 67 Or
te
ne va; e perché se' vivo anco,
17. 68
sappi
che 'l mio vicin Vitaliano
17. 69
sederà
qui dal mio sinistro fianco.
17. 70 Con
questi Fiorentin son padoano:
17. 71
spesse
fiate mi 'ntronan li orecchi
17. 72
gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano,
17. 73 che
recherà la tasca con tre becchi!"».
17. 74 Qui
distorse la bocca e di fuor trasse
17. 75 la
lingua, come bue che 'l naso lecchi.
17. 76 E
io,
temendo no 'l più star crucciasse
17. 77 lui
che
di poco star m'avea 'mmonito,
17. 78
torna'mi in dietro da l'anime lasse.
17. 79
Trova'
il duca mio ch'era salito
17. 80
già su
la groppa del fiero animale,
17.
81 e disse a me: «Or sie forte e ardito.
17. 82
Omai si
scende per sì fatte scale:
17. 83
monta
dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,
17. 84
sì che
la coda non possa far male».
17. 85
Qual è
colui che sì presso ha 'l riprezzo
17. 86 de
la
quartana, c'ha già l'unghie smorte,
17. 87 e
triema tutto pur guardando 'l rezzo,
17. 88 tal
divenn'io a le parole porte;
17. 89 ma
vergogna mi fé le sue minacce,
17. 90 che
innanzi a buon segnor fa servo forte.
17. 91 I'
m'assettai in su quelle spallacce;
17. 92
sì
volli dir, ma la voce non venne
17. 93
com'io
credetti: "Fa che tu m'abbracce".
17. 94 Ma
esso, ch'altra volta mi sovvenne
17. 95 ad
altro forse, tosto ch'i' montai
17. 96 con
le
braccia m'avvinse e mi sostenne;
17. 97 e
disse: «Gerion, moviti omai:
17. 98 le
rote
larghe e lo scender sia poco:
17. 99
pensa
la nova soma che tu hai».
17.100
Come la
navicella esce di loco
17.101 in
dietro in dietro, sì quindi si tolse;
17.102 e
poi
ch'al tutto si sentì a gioco,
17.103
là
'v'era 'l petto, la coda rivolse,
17.104 e
quella tesa, come anguilla, mosse,
17.105 e
con
le branche l'aere a sé raccolse.
17.106
Maggior
paura non credo che fosse
17.107
quando
Fetonte abbandonò li freni,
17.108 per
che
'l ciel, come pare ancor, si cosse;
17.109
né
quando Icaro misero le reni
17.110
sentì spennar
per la scaldata cera,
17.111
gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,
17.112 che
fu
la mia, quando vidi ch'i' era
17.113 ne
l'aere d'ogne parte, e vidi spenta
17.114
ogne
veduta fuor che de la fera.
17.115
Ella sen va notando lenta lenta:
17.116
rota e
discende, ma non me n'accorgo
17.117 se
non
che al viso e di sotto mi venta.
17.118 Io
sentia già da la man destra il gorgo
17.119 far
sotto noi un orribile scroscio,
17.120 per
che
con li occhi 'n giù la testa sporgo.
17.121
Allor
fu' io più timido a lo stoscio,
17.122
però
ch'i' vidi fuochi e senti' pianti;
17.123
ond'io
tremando tutto mi raccoscio.
17.124 E
vidi
poi, ché nol vedea davanti,
17.125 lo
scendere e 'l girar per li gran mali
17.126 che
s'appressavan da diversi canti.
17.127
Come 'l
falcon ch'è stato assai su l'ali,
17.128 che
sanza veder logoro o uccello
17.129 fa
dire
al falconiere «Omè, tu cali!»,
17.130
discende lasso onde si move isnello,
17.131 per
cento rote, e da lunge si pone
17.132 dal
suo
maestro, disdegnoso e fello;
17.133
così ne
puose al fondo Gerione
17.134 al
piè
al piè de la stagliata rocca
17.135 e,
discarcate le nostre persone,
17.136 si
dileguò come da corda cocca.
18. 1
Luogo è
in inferno detto Malebolge,
18. 2
tutto di
pietra di color ferrigno,
18. 3 come
la
cerchia che dintorno il volge.
18. 4 Nel
dritto mezzo del campo maligno
18. 5
vaneggia
un pozzo assai largo e profondo,
18. 6 di
cui suo loco dicerò
l'ordigno.
18. 7 Quel
cinghio che rimane adunque è tondo
18. 8 tra
'l
pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura,
18. 9 e ha
distinto in dieci valli il fondo.
18. 10
Quale,
dove per guardia de le mura
18. 11
più e
più fossi cingon li castelli,
18. 12 la
parte dove son rende figura,
18. 13
tale
imagine quivi facean quelli;
18. 14 e
come
a tai fortezze da' lor sogli
18. 15 a
la
ripa di fuor son ponticelli,
18. 16
così da
imo de la roccia scogli
18. 17
movien
che ricidien li argini e ' fossi
18. 18
infino
al pozzo che i tronca e raccogli.
18. 19 In
questo luogo, de la schiena scossi
18. 20 di
Gerion,
trovammoci; e 'l poeta
18. 21
tenne a
sinistra, e io dietro mi mossi.
18. 22 A
la
man destra vidi nova pieta,
18. 23
novo
tormento e novi frustatori,
18. 24 di
che
la prima bolgia era repleta.
18. 25 Nel
fondo erano ignudi i peccatori;
18. 26 dal
mezzo
in qua ci venien verso 'l volto,
18. 27 di
là
con noi, ma con passi maggiori,
18. 28
come i
Roman per l'essercito molto,
18. 29
l'anno
del giubileo, su per lo ponte
18. 30
hanno a
passar la gente modo colto,
18. 31 che
da
l'un lato tutti hanno la fronte
18. 32
verso
'l castello e vanno a Santo Pietro;
18. 33 da
l'altra sponda vanno verso 'l monte.
18. 34 Di
qua,
di là, su per lo sasso tetro
18. 35
vidi
demon cornuti con gran ferze,
18. 36 che
li
battien crudelmente di retro.
18. 37 Ahi
come facean lor levar le berze
18. 38 a
le
prime percosse! già nessuno
18. 39 le
seconde aspettava né le terze.
18. 40
Mentr'io andava, li occhi miei in uno
18. 41
furo
scontrati; e io sì tosto dissi:
18. 42
«Già di
veder costui non son digiuno».
18. 43 Per
ch'io a figurarlo i piedi affissi;
18. 44 e
'l
dolce duca meco si ristette,
18. 45 e
assentio ch'alquanto in dietro gissi.
18. 46 E
quel
frustato celar si credette
18. 47
bassando 'l viso; ma poco li valse,
18. 48
ch'io
dissi: «O tu che l'occhio a terra gette,
18. 49 se
le
fazion che porti non son false,
18. 50
Venedico se' tu Caccianemico.
18. 51 Ma
che
ti mena a sì pungenti salse?».
18. 52 Ed
elli
a me: «Mal volentier lo dico;
18. 53 ma
sforzami la tua chiara favella,
18. 54 che
mi
fa sovvenir del mondo antico.
18. 55 I'
fui
colui che la Ghisolabella
18. 56
condussi a far la voglia del marchese,
18. 57
come
che suoni la sconcia novella.
18. 58 E
non
pur io qui piango bolognese;
18. 59
anzi
n'è questo luogo tanto pieno,
18. 60 che
tante lingue non son ora apprese
18. 61 a
dicer
"sipa" tra Sàvena e Reno;
18. 62 e
se di
ciò vuoi fede o testimonio,
18. 63
rècati
a mente il nostro avaro seno».
18. 64
Così
parlando il percosse un demonio
18. 65 de
la
sua scuriada, e disse: «Via,
18. 66
ruffian! qui non son femmine da conio».
18. 67 I'
mi
raggiunsi con la scorta mia;
18. 68
poscia
con pochi passi divenimmo
18. 69
là
'v'uno scoglio de la ripa uscia.
18. 70
Assai
leggeramente quel salimmo;
18. 71 e
vòlti
a destra su per la sua scheggia,
18. 72 da
quelle cerchie etterne ci partimmo.
18. 73
Quando
noi fummo là dov'el vaneggia
18. 74 di
sotto per dar passo a li sferzati,
18. 75 lo
duca
disse: «Attienti, e fa che feggia
18. 76 lo
viso
in te di quest'altri mal nati,
18. 77 ai
quali ancor non vedesti la faccia
18. 78
però
che son con noi insieme andati».
18. 79 Del
vecchio ponte guardavam la traccia
18. 80 che
venìa verso noi da l'altra banda,
18. 81 e
che
la ferza similmente scaccia.
18. 82 E
'l
buon maestro, sanza mia dimanda,
18. 83 mi
disse: «Guarda quel grande che vene,
18. 84 e
per
dolor non par lagrime spanda:
18. 85
quanto
aspetto reale ancor ritene!
18. 86
Quelli
è Iasón, che per cuore e per senno
18. 87 li
Colchi del monton privati féne.
18. 88
Ello
passò per l'isola di Lenno,
18. 89 poi
che
l'ardite femmine spietate
18. 90
tutti
li maschi loro a morte dienno.
18. 91 Ivi
con
segni e con parole ornate
18. 92
Isifile
ingannò, la giovinetta
18. 93 che
prima avea tutte l'altre ingannate.
18. 94
Lasciolla quivi, gravida, soletta;
18. 95 tal
colpa a tal martiro lui condanna;
18. 96 e
anche
di Medea si fa vendetta.
18. 97 Con
lui
sen va chi da tal parte inganna:
18. 98 e
questo basti de la prima valle
18. 99
sapere
e di color che 'n sé assanna».
18.100
Già
eravam là 've lo stretto calle
18.101 con
l'argine secondo s'incrocicchia,
18.102 e
fa di
quello ad un altr'arco spalle.
18.103
Quindi
sentimmo gente che si nicchia
18.104 ne
l'altra bolgia e che col muso scuffa,
18.105 e
sé
medesma con le palme picchia.
18.106 Le
ripe
eran grommate d'una muffa,
18.107 per
l'alito di giù che vi s'appasta,
18.108 che
con
li occhi e col naso facea zuffa.
18.109 Lo
fondo è cupo sì, che non ci basta
18.110
loco a
veder sanza montare al dosso
18.111 de
l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
18.112
Quivi
venimmo; e quindi giù nel fosso
18.113
vidi
gente attuffata in uno sterco
18.114 che
da
li uman privadi parea mosso.
18.115 E
mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
18.116
vidi un
col capo sì di merda lordo,
18.117 che
non
parea s'era laico o cherco.
18.118
Quei mi
sgridò: «Perché se' tu sì
gordo
18.119 di
riguardar più me che li altri brutti?».
18.120 E
io a
lui: «Perché, se ben ricordo,
18.121
già
t'ho veduto coi capelli asciutti,
18.122 e
se'
Alessio Interminei da Lucca:
18.123
però
t'adocchio più che li altri tutti».
18.124 Ed
elli
allor, battendosi la zucca:
18.125
«Qua
giù m'hanno sommerso le lusinghe
18.126
ond'io
non ebbi mai la lingua stucca».
18.127
Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe»,
18.128 mi
disse «il viso un poco più avante,
18.129
sì che
la faccia ben con l'occhio attinghe
18.130 di
quella sozza e scapigliata fante
18.131 che
là
si graffia con l'unghie merdose,
18.132 e
or
s'accoscia e ora è in piedi stante.
18.133
Taide
è, la puttana che rispuose
18.134 al
drudo suo quando disse "Ho io grazie
18.135
grandi
apo te?": "Anzi maravigliose!".
18.136 E
quinci sien le nostre viste sazie».
19. 1 O
Simon
mago, o miseri seguaci
19. 2 che
le
cose di Dio, che di bontate
19. 3 deon
essere spose, e voi rapaci
19. 4 per
oro
e per argento avolterate,
19. 5 or
convien che per voi suoni la tromba,
19. 6
però che
ne la terza bolgia state.
19. 7
Già
eravamo, a la seguente tomba,
19. 8
montati
de lo scoglio in quella parte
19. 9 ch'a
punto sovra mezzo 'l fosso piomba.
19. 10 O
somma
sapienza, quanta è l'arte
19. 11 che
mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
19. 12 e
quanto giusto tua virtù comparte!
19. 13 Io
vidi
per le coste e per lo fondo
19. 14
piena
la pietra livida di fóri,
19. 15
d'un
largo tutti e ciascun era tondo.
19. 16 Non
mi
parean men ampi né maggiori
19. 17 che
que' che son nel mio bel San Giovanni,
19. 18
fatti
per loco d'i battezzatori;
19. 19
l'un de
li quali, ancor non è molt'anni,
19. 20
rupp'io
per un che dentro v'annegava:
19. 21 e
questo sia suggel ch'ogn'omo sganni.
19. 22
Fuor de
la bocca a ciascun soperchiava
19. 23
d'un
peccator li piedi e de le gambe
19. 24
infino
al grosso, e l'altro dentro stava.
19. 25 Le
piante erano a tutti accese intrambe;
19. 26 per
che
sì forte guizzavan le giunte,
19. 27 che
spezzate averien ritorte e strambe.
19. 28
Qual
suole il fiammeggiar de le cose unte
19. 29
muoversi pur su per la strema buccia,
19. 30 tal
era
lì dai calcagni a le punte.
19. 31
«Chi è
colui, maestro, che si cruccia
19. 32
guizzando più che li altri suoi consorti»,
19. 33
diss'io,
«e cui più roggia fiamma succia?».
19. 34 Ed
elli
a me: «Se tu vuo' ch'i' ti porti
19. 35
là giù
per quella ripa che più giace,
19. 36 da
lui
saprai di sé e de' suoi torti».
19. 37 E
io:
«Tanto m'è bel, quanto a te piace:
19. 38 tu
se'
segnore, e sai ch'i' non mi parto
19. 39 dal
tuo
volere, e sai quel che si tace».
19. 40
Allor
venimmo in su l'argine quarto:
19. 41
volgemmo e discendemmo a mano stanca
19. 42
là giù
nel fondo foracchiato e arto.
19. 43 Lo
buon
maestro ancor de la sua anca
19. 44 non
mi
dipuose, sì mi giunse al rotto
19. 45 di
quel
che si piangeva con la zanca.
19. 46
«O qual
che se' che 'l di sù tien di sotto,
19. 47
anima
trista come pal commessa»,
19. 48
comincia' io a dir, «se puoi, fa motto».
19. 49 Io
stava come 'l frate che confessa
19. 50 lo
perfido assessin, che, poi ch'è fitto,
19. 51
richiama lui, per che la morte cessa.
19. 52 Ed
el
gridò: «Se' tu già costì
ritto,
19. 53 se'
tu
già costì ritto, Bonifazio?
19. 54 Di
parecchi anni mi mentì lo scritto.
19. 55 Se'
tu
sì tosto di quell'aver sazio
19. 56 per
lo
qual non temesti tòrre a 'nganno
19. 57 la
bella donna, e poi di farne strazio?».
19. 58 Tal
mi
fec'io, quai son color che stanno,
19. 59 per
non
intender ciò ch'è lor risposto,
19. 60
quasi
scornati, e risponder non sanno.
19. 61
Allor
Virgilio disse: «Dilli tosto:
19. 62
"Non son colui, non son colui che credi"»;
19. 63 e
io
rispuosi come a me fu imposto.
19. 64 Per
che
lo spirto tutti storse i piedi;
19. 65
poi,
sospirando e con voce di pianto,
19. 66 mi
disse: «Dunque che a me richiedi?
19. 67 Se
di
saper ch'i' sia ti cal cotanto,
19. 68 che
tu
abbi però la ripa corsa,
19. 69
sappi
ch'i' fui vestito del gran manto;
19. 70 e
veramente fui figliuol de l'orsa,
19. 71
cupido
sì per avanzar li orsatti,
19. 72 che
sù
l'avere e qui me misi in borsa.
19. 73 Di
sotto al capo mio son li altri tratti
19. 74 che
precedetter me simoneggiando,
19. 75 per
le
fessure de la pietra piatti.
19. 76
Là giù
cascherò io altresì quando
19. 77
verrà
colui ch'i' credea che tu fossi
19. 78
allor
ch'i' feci 'l sùbito dimando.
19. 79 Ma
più
è 'l tempo già che i piè mi cossi
19. 80 e
ch'i'
son stato così sottosopra,
19. 81
ch'el
non starà piantato coi piè rossi:
19. 82
ché
dopo lui verrà di più laida opra
19. 83 di
ver'
ponente, un pastor sanza legge,
19. 84 tal
che
convien che lui e me ricuopra.
19. 85
Novo
Iasón sarà, di cui si legge
19. 86 ne'
Maccabei; e come a quel fu molle
19. 87 suo
re,
così fia lui chi Francia regge».
19. 88 Io
non
so s'i' mi fui qui troppo folle,
19. 89
ch'i'
pur rispuosi lui a questo metro:
19. 90
«Deh,
or mi dì : quanto tesoro volle
19. 91
Nostro
Segnore in prima da san Pietro
19. 92
ch'ei
ponesse le chiavi in sua balìa?
19. 93
Certo
non chiese se non "Viemmi retro".
19. 94
Né Pier
né li altri tolsero a Matia
19. 95 oro
od
argento, quando fu sortito
19. 96 al
loco
che perdé l'anima ria.
19. 97
Però ti
sta, ché tu se' ben punito;
19. 98 e
guarda ben la mal tolta moneta
19. 99
ch'esser ti fece contra Carlo ardito.
19.100 E
se
non fosse ch'ancor lo mi vieta
19.101 la
reverenza delle somme chiavi
19.102 che
tu
tenesti ne la vita lieta,
19.103 io
userei parole ancor più gravi;
19.104
ché la
vostra avarizia il mondo attrista,
19.105
calcando i buoni e sollevando i pravi.
19.106 Di
voi
pastor s'accorse il Vangelista,
19.107
quando
colei che siede sopra l'acque
19.108
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
19.109
quella
che con le sette teste nacque,
19.110 e
da le
diece corna ebbe argomento,
19.111 fin
che
virtute al suo marito piacque.
19.112
Fatto
v'avete Dio d'oro e d'argento;
19.113 e
che
altro è da voi a l'idolatre,
19.114 se
non
ch'elli uno, e voi ne orate cento?
19.115
Ahi,
Costantin, di quanto mal fu matre,
19.116 non
la
tua conversion, ma quella dote
19.117 che
da
te prese il primo ricco patre!».
19.118 E
mentr'io
li cantava cotai note,
19.119 o
ira o
coscienza che 'l mordesse,
19.120
forte
spingava con ambo le piote.
19.121 I'
credo ben ch'al mio duca piacesse,
19.122 con
sì
contenta labbia sempre attese
19.123 lo
suon
de le parole vere espresse.
19.124
Però
con ambo le braccia mi prese;
19.125 e
poi
che tutto su mi s'ebbe al petto,
19.126
rimontò
per la via onde discese.
19.127
Né si
stancò d'avermi a sé distretto,
19.128
sì men
portò sovra 'l colmo de l'arco
19.129 che
dal
quarto al quinto argine è tragetto.
19.130
Quivi
soavemente spuose il carco,
19.131
soave
per lo scoglio sconcio ed erto
19.132 che
sarebbe a le capre duro varco.
19.133
Indi un altro vallon
mi fu scoperto.
20. 1 Di
nova
pena mi conven far versi
20. 2 e
dar
matera al ventesimo canto
20. 3 de
la
prima canzon ch'è d'i sommersi.
20. 4 Io
era
già disposto tutto quanto
20. 5 a
riguardar ne lo scoperto fondo,
20. 6 che
si
bagnava d'angoscioso pianto;
20. 7 e
vidi
gente per lo vallon tondo
20. 8
venir,
tacendo e lagrimando, al passo
20. 9 che
fanno le letane in questo mondo.
20. 10
Come 'l
viso mi scese in lor più basso,
20. 11
mirabilmente apparve esser travolto
20. 12
ciascun
tra 'l mento e 'l principio del casso;
20. 13
ché da
le reni era tornato 'l volto
20. 14 e
in
dietro venir li convenia,
20. 15
perché
'l veder dinanzi era lor tolto.
20. 16
Forse
per forza già di parlasia
20. 17 si
travolse così alcun del tutto;
20. 18 ma
io
nol vidi, né credo che sia.
20. 19 Se
Dio
ti lasci, lettor, prender frutto
20. 20 di
tua
lezione, or pensa per te stesso
20. 21
com'io
potea tener lo viso asciutto,
20. 22
quando
la nostra imagine di presso
20. 23
vidi sì
torta, che 'l pianto de li occhi
20. 24 le
natiche bagnava per lo fesso.
20. 25
Certo
io piangea, poggiato a un de' rocchi
20. 26 del
duro scoglio, sì che la mia scorta
20. 27 mi
disse: «Ancor se' tu de li altri sciocchi?
20. 28 Qui
vive la pietà quand'è ben morta;
20. 29 chi
è
più scellerato che colui
20. 30 che
al
giudicio divin passion comporta?
20. 31
Drizza
la testa, drizza, e vedi a cui
20. 32
s'aperse a li occhi d'i Teban la terra;
20. 33 per
ch'ei gridavan tutti: "Dove rui,
20. 34
Anfiarao? perché lasci la guerra?".
20. 35 E
non
restò di ruinare a valle
20. 36
fino a
Minòs che ciascheduno afferra.
20. 37
Mira
c'ha fatto petto de le spalle:
20. 38
perché
volle veder troppo davante,
20. 39 di
retro guarda e fa retroso calle.
20. 40
Vedi
Tiresia, che mutò sembiante
20. 41
quando
di maschio femmina divenne
20. 42
cangiandosi le membra tutte quante;
20. 43 e
prima,
poi, ribatter li convenne
20. 44 li
duo
serpenti avvolti, con la verga,
20. 45 che
riavesse le maschili penne.
20. 46
Aronta
è quel ch'al ventre li s'atterga,
20. 47 che
ne'
monti di Luni, dove ronca
20. 48 lo
Carrarese che di sotto alberga,
20. 49
ebbe
tra ' bianchi marmi la spelonca
20. 50 per
sua
dimora; onde a guardar le stelle
20. 51 e
'l
mar no li era la veduta tronca.
20. 52 E
quella che ricuopre le mammelle,
20. 53 che
tu
non vedi, con le trecce sciolte,
20. 54 e
ha di
là ogne pilosa pelle,
20. 55
Manto
fu, che cercò per terre molte;
20. 56
poscia
si puose là dove nacqu'io;
20. 57
onde un
poco mi piace che m'ascolte.
20. 58
Poscia
che 'l padre suo di vita uscìo,
20. 59 e
venne
serva la città di Baco,
20. 60
questa
gran tempo per lo mondo gio.
20. 61
Suso in
Italia bella giace un laco,
20. 62 a
piè
de l'Alpe che serra Lamagna
20. 63
sovra
Tiralli, c'ha nome Benaco.
20. 64 Per
mille fonti, credo, e più si bagna
20. 65 tra
Garda e Val Camonica e Pennino
20. 66 de
l'acqua che nel detto laco stagna.
20. 67
Loco è
nel mezzo là dove 'l trentino
20. 68
pastore
e quel di Brescia e 'l veronese
20. 69
segnar
poria, s'e' fesse quel cammino.
20. 70
Siede
Peschiera, bello e forte arnese
20. 71 da
fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
20. 72 ove
la
riva 'ntorno più discese.
20. 73 Ivi
convien che tutto quanto caschi
20. 74
ciò che
'n grembo a Benaco star non può,
20. 75 e
fassi
fiume giù per verdi paschi.
20. 76
Tosto
che l'acqua a correr mette co,
20. 77 non
più
Benaco, ma Mencio si chiama
20. 78
fino a Governol,
dove cade in Po.
20. 79 Non
molto ha corso, ch'el trova una lama,
20. 80 ne
la
qual si distende e la 'mpaluda;
20. 81 e
suol
di state talor essere grama.
20. 82
Quindi
passando la vergine cruda
20. 83
vide
terra, nel mezzo del pantano,
20. 84
sanza
coltura e d'abitanti nuda.
20. 85
Lì, per
fuggire ogne consorzio umano,
20. 86
ristette con suoi servi a far sue arti,
20. 87 e
visse, e vi lasciò suo corpo vano.
20. 88 Li
uomini poi che 'ntorno erano sparti
20. 89
s'accolsero a quel loco, ch'era forte
20. 90 per
lo
pantan ch'avea da tutte parti.
20. 91 Fer
la
città sovra quell'ossa morte;
20. 92 e
per
colei che 'l loco prima elesse,
20. 93
Mantua
l'appellar sanz'altra sorte.
20. 94
Già
fuor le genti sue dentro più spesse,
20. 95
prima
che la mattia da Casalodi
20. 96 da
Pinamonte inganno ricevesse.
20. 97
Però
t'assenno che, se tu mai odi
20. 98
originar la mia terra altrimenti,
20. 99 la
verità nulla menzogna frodi».
20.100 E
io:
«Maestro, i tuoi ragionamenti
20.101 mi
son
sì certi e prendon sì mia fede,
20.102 che
li
altri mi sarien carboni spenti.
20.103 Ma
dimmi, de la gente che procede,
20.104 se
tu
ne vedi alcun degno di nota;
20.105
ché
solo a ciò la mia mente rifiede».
20.106
Allor
mi disse: «Quel che da la gota
20.107
porge
la barba in su le spalle brune,
20.108 fu
-
quando Grecia fu di maschi vòta,
20.109
sì ch'a
pena rimaser per le cune -
20.110
augure,
e diede 'l punto con Calcanta
20.111 in
Aulide a tagliar la prima fune.
20.112
Euripilo ebbe nome, e così 'l canta
20.113
l'alta
mia tragedìa in alcun loco:
20.114 ben
lo
sai tu che la sai tutta quanta.
20.115
Quell'altro che ne' fianchi è così poco,
20.116
Michele
Scotto fu, che veramente
20.117 de
le
magiche frode seppe 'l gioco.
20.118
Vedi
Guido Bonatti; vedi Asdente,
20.119
ch'avere
inteso al cuoio e a lo spago
20.120 ora
vorrebbe, ma tardi si pente.
20.121
Vedi le
triste che lasciaron l'ago,
20.122 la
spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine;
20.123
fecer
malie con erbe e con imago.
20.124 Ma
vienne omai, ché già tiene 'l confine
20.125
d'amendue li emisperi e tocca l'onda
20.126
sotto
Sobilia Caino e le spine;
20.127 e
già
iernotte fu la luna tonda:
20.128 ben
ten
de' ricordar, ché non ti nocque
20.129
alcuna
volta per la selva fonda».
20.130
Sì mi
parlava, e andavamo introcque.
21. 1
Così di
ponte in ponte, altro parlando
21. 2 che
la
mia comedìa cantar non cura,
21. 3
venimmo;
e tenavamo 'l colmo, quando
21. 4
restammo
per veder l'altra fessura
21. 5 di
Malebolge e li altri pianti vani;
21. 6 e
vidila
mirabilmente oscura.
21. 7
Quale ne
l'arzanà de' Viniziani
21. 8
bolle
l'inverno la tenace pece
21. 9 a
rimpalmare i legni lor non sani,
21. 10
ché
navicar non ponno - in quella vece
21. 11 chi
fa
suo legno novo e chi ristoppa
21. 12 le
coste a quel che più viaggi fece;
21. 13 chi
ribatte da proda e chi da poppa;
21. 14
altri
fa remi e altri volge sarte;
21. 15 chi
terzeruolo e artimon rintoppa -;
21. 16
tal,
non per foco, ma per divin'arte,
21. 17
bollia
là giuso una pegola spessa,
21. 18 che
'nviscava la ripa d'ogne parte.
21. 19 I'
vedea lei, ma non vedea in essa
21. 20 mai
che
le bolle che 'l bollor levava,
21. 21 e
gonfiar tutta, e riseder compressa.
21. 22
Mentr'io là giù fisamente mirava,
21. 23 lo
duca
mio, dicendo «Guarda, guarda!»,
21. 24 mi
trasse
a sé del loco dov'io stava.
21. 25
Allor
mi volsi come l'uom cui tarda
21. 26 di
veder quel che li convien fuggire
21. 27 e
cui
paura sùbita sgagliarda,
21. 28
che,
per veder, non indugia 'l partire:
21. 29 e
vidi
dietro a noi un diavol nero
21. 30
correndo
su per lo scoglio venire.
21. 31 Ahi
quant'elli era ne l'aspetto fero!
21. 32 e
quanto mi parea ne l'atto acerbo,
21. 33 con
l'ali aperte e sovra i piè leggero!
21. 34
L'omero
suo, ch'era aguto e superbo,
21. 35
carcava
un peccator con ambo l'anche,
21. 36 e
quei
tenea de' piè ghermito 'l nerbo.
21. 37 Del
nostro ponte disse: «O Malebranche,
21. 38
ecco un
de li anzian di Santa Zita!
21. 39
Mettetel sotto, ch'i' torno per anche
21. 40 a
quella terra che n'è ben fornita:
21. 41
ogn'uom
v'è barattier, fuor che Bonturo;
21. 42 del
no,
per li denar vi si fa ita».
21. 43
Là giù
'l buttò, e per lo scoglio duro
21. 44 si
volse; e mai non fu mastino sciolto
21. 45 con
tanta fretta a seguitar lo furo.
21. 46
Quel
s'attuffò, e tornò sù convolto;
21. 47 ma
i
demon che del ponte avean coperchio,
21. 48
gridar:
«Qui non ha loco il Santo Volto:
21. 49 qui
si
nuota altrimenti che nel Serchio!
21. 50
Però,
se tu non vuo' di nostri graffi,
21. 51 non
far
sopra la pegola soverchio».
21. 52 Poi
l'addentar con più di cento raffi,
21. 53
disser:
«Coverto convien che qui balli,
21. 54
sì che,
se puoi, nascosamente accaffi».
21. 55 Non
altrimenti i cuoci a' lor vassalli
21. 56
fanno
attuffare in mezzo la caldaia
21. 57 la
carne con li uncin, perché non galli.
21. 58 Lo
buon
maestro «Acciò che non si paia
21. 59 che
tu
ci sia», mi disse, «giù t'acquatta
21. 60
dopo
uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia;
21. 61 e
per
nulla offension che mi sia fatta,
21. 62 non
temer tu, ch'i' ho le cose conte,
21. 63
perch'altra volta fui a tal baratta».
21. 64
Poscia
passò di là dal co del ponte;
21. 65 e
com'el giunse in su la ripa sesta,
21. 66
mestier
li fu d'aver sicura fronte.
21. 67 Con
quel furore e con quella tempesta
21. 68
ch'escono i cani a dosso al poverello
21. 69 che
di
sùbito chiede ove s'arresta,
21. 70
usciron
quei di sotto al ponticello,
21. 71 e
volser contra lui tutt'i runcigli;
21. 72 ma
el
gridò: «Nessun di voi sia fello!
21. 73 Innanzi
che l'uncin vostro mi pigli,
21. 74
traggasi avante l'un di voi che m'oda,
21. 75 e
poi
d'arruncigliarmi si consigli».
21. 76 Tutti
gridaron: «Vada Malacoda!»;
21. 77 per
ch'un si mosse - e li altri stetter fermi -,
21. 78 e
venne
a lui dicendo: «Che li approda?».
21. 79
«Credi
tu, Malacoda, qui vedermi
21. 80
esser
venuto», disse 'l mio maestro,
21. 81
«sicuro
già da tutti vostri schermi,
21. 82
sanza
voler divino e fato destro?
21. 83
Lascian'andar, ché nel cielo è voluto
21. 84
ch'i'
mostri altrui questo cammin silvestro».
21. 85
Allor
li fu l'orgoglio sì caduto,
21. 86
ch'e'
si lasciò cascar l'uncino a' piedi,
21. 87 e
disse
a li altri: «Omai non sia feruto».
21. 88 E
'l
duca mio a me: «O tu che siedi
21. 89 tra
li
scheggion del ponte quatto quatto,
21. 90
sicuramente omai a me ti riedi».
21. 91 Per
ch'io mi mossi, e a lui venni ratto;
21. 92 e i
diavoli si fecer tutti avanti,
21. 93
sì
ch'io temetti ch'ei tenesser patto;
21. 94
così
vid'io già temer li fanti
21. 95
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
21. 96
veggendo sé tra nemici cotanti.
21. 97 I'
m'accostai con tutta la persona
21. 98
lungo
'l mio duca, e non torceva li occhi
21. 99 da
la
sembianza lor ch'era non buona.
21.100 Ei
chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi»,
21.101
diceva
l'un con l'altro, «in sul groppone?».
21.102 E
rispondien: «Sì, fa che gliel'accocchi!».
21.103 Ma
quel
demonio che tenea sermone
21.104 col
duca mio, si volse tutto presto,
21.105 e
disse: «Posa, posa, Scarmiglione!».
21.106 Poi
disse a noi: «Più oltre andar per questo
21.107
iscoglio non si può, però che giace
21.108
tutto
spezzato al fondo l'arco sesto.
21.109 E
se
l'andare avante pur vi piace,
21.110
andatevene su per questa grotta;
21.111
presso
è un altro scoglio che via face.
21.112
Ier,
più oltre cinqu'ore che quest'otta,
21.113
mille
dugento con sessanta sei
21.114
anni
compié che qui la via fu rotta.
21.115 Io
mando verso là di questi miei
21.116 a
riguardar s'alcun se ne sciorina;
21.117
gite
con lor, che non saranno rei».
21.118
«Tra'ti
avante, Alichino, e Calcabrina»,
21.119
cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo;
21.120 e
Barbariccia guidi la decina.
21.121
Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,
21.122
Ciriatto sannuto e Graffiacane
21.123 e
Farfarello e Rubicante pazzo.
21.124
Cercate
'ntorno le boglienti pane;
21.125
costor
sian salvi infino a l'altro scheggio
21.126 che
tutto intero va sovra le tane».
21.127
«Omè,
maestro, che è quel ch'i' veggio?»,
21.128
diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli,
21.129 se
tu
sa' ir; ch'i' per me non la cheggio.
21.130 Se
tu
se' sì accorto come suoli,
21.131 non
vedi tu ch'e' digrignan li denti,
21.132 e
con
le ciglia ne minaccian duoli?».
21.133 Ed
elli
a me: «Non vo' che tu paventi;
21.134
lasciali digrignar pur a lor senno,
21.135
ch'e'
fanno ciò per li lessi dolenti».
21.136 Per
l'argine sinistro volta dienno;
21.137 ma
prima avea ciascun la lingua stretta
21.138 coi
denti, verso lor duca, per cenno;
21.139 ed
elli
avea del cul fatto trombetta.
22. 1 Io
vidi
già cavalier muover campo,
22. 2 e
cominciare stormo e far lor mostra,
22. 3 e
talvolta partir per loro scampo;
22. 4
corridor
vidi per la terra vostra,
22. 5 o
Aretini, e vidi gir gualdane,
22. 6
fedir
torneamenti e correr giostra;
22. 7
quando
con trombe, e quando con campane,
22. 8 con
tamburi e con cenni di castella,
22. 9 e
con
cose nostrali e con istrane;
22. 10
né già
con sì diversa cennamella
22. 11
cavalier vidi muover né pedoni,
22. 12
né nave
a segno di terra o di stella.
22. 13 Noi
andavam con li diece demoni.
22. 14 Ahi
fiera compagnia! ma ne la chiesa
22. 15 coi
santi, e in taverna coi ghiottoni.
22. 16 Pur
a
la pegola era la mia 'ntesa,
22. 17 per
veder de la bolgia ogne contegno
22. 18 e
de la
gente ch'entro v'era incesa.
22. 19
Come i
dalfini, quando fanno segno
22. 20 a'
marinar con l'arco de la schiena,
22. 21 che
s'argomentin di campar lor legno,
22. 22
talor
così, ad alleggiar la pena,
22. 23
mostrav'alcun de' peccatori il dosso
22. 24 e
nascondea in men che non balena.
22. 25 E
come
a l'orlo de l'acqua d'un fosso
22. 26
stanno
i ranocchi pur col muso fuori,
22. 27
sì che
celano i piedi e l'altro grosso,
22. 28
sì
stavan d'ogne parte i peccatori;
22. 29 ma
come
s'appressava Barbariccia,
22. 30
così si
ritraén sotto i bollori.
22. 31 I'
vidi, e anco il cor me n'accapriccia,
22. 32 uno
aspettar così, com'elli 'ncontra
22. 33
ch'una
rana rimane e l'altra spiccia;
22. 34 e
Graffiacan, che li era più di contra,
22. 35 li
arruncigliò le 'mpegolate chiome
22. 36 e
trassel sù, che mi parve una lontra.
22. 37 I'
sapea già di tutti quanti 'l nome,
22. 38
sì li
notai quando fuorono eletti,
22. 39 e
poi
ch'e' si chiamaro, attesi come.
22. 40
«O
Rubicante, fa che tu li metti
22. 41 li
unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!»,
22. 42
gridavan tutti insieme i maladetti.
22. 43 E
io:
«Maestro mio, fa, se tu puoi,
22. 44 che
tu
sappi chi è lo sciagurato
22. 45
venuto
a man de li avversari suoi».
22. 46 Lo
duca
mio li s'accostò allato;
22. 47
domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose:
22. 48
«I' fui
del regno di Navarra nato.
22. 49 Mia
madre a servo d'un segnor mi puose,
22. 50 che
m'avea generato d'un ribaldo,
22. 51
distruggitor di sé e di sue cose.
22. 52 Poi
fui
famiglia del buon re Tebaldo:
22. 53
quivi
mi misi a far baratteria;
22. 54 di
ch'io rendo ragione in questo caldo».
22. 55 E
Ciriatto, a cui di bocca uscia
22. 56
d'ogne
parte una sanna come a porco,
22. 57 li
fé
sentir come l'una sdrucia.
22. 58 Tra
male gatte era venuto 'l sorco;
22. 59 ma
Barbariccia il chiuse con le braccia,
22. 60 e
disse: «State in là, mentr'io lo
'nforco».
22. 61 E
al
maestro mio volse la faccia:
22. 62
«Domanda»,
disse, «ancor, se più disii
22. 63
saper
da lui, prima ch'altri 'l disfaccia».
22. 64 Lo
duca
dunque: «Or dì : de li altri rii
22. 65
conosci
tu alcun che sia latino
22. 66
sotto
la pece?». E quelli: «I' mi partii,
22. 67
poco è,
da un che fu di là vicino.
22. 68
Così
foss'io ancor con lui coperto,
22. 69
ch'i'
non temerei unghia né uncino!».
22. 70 E
Libicocco «Troppo avem sofferto»,
22. 71
disse;
e preseli 'l braccio col runciglio,
22. 72
sì che,
stracciando, ne portò un lacerto.
22. 73
Draghignazzo
anco i volle dar di piglio
22. 74
giuso a
le gambe; onde 'l decurio loro
22. 75 si
volse intorno intorno con mal piglio.
22. 76
Quand'elli un poco rappaciati fuoro,
22. 77 a
lui,
ch'ancor mirava sua ferita,
22. 78
domandò
'l duca mio sanza dimoro:
22. 79
«Chi fu
colui da cui mala partita
22. 80 di'
che
facesti per venire a proda?».
22. 81 Ed
ei
rispuose: «Fu frate Gomita,
22. 82
quel di
Gallura, vasel d'ogne froda,
22. 83
ch'ebbe
i nemici di suo donno in mano,
22. 84 e
fé sì
lor, che ciascun se ne loda.
22. 85
Danar
si tolse, e lasciolli di piano,
22. 86
sì
com'e' dice; e ne li altri offici anche
22. 87
barattier fu non picciol, ma sovrano.
22. 88 Usa
con
esso donno Michel Zanche
22. 89 di
Logodoro; e a dir di Sardigna
22. 90 le
lingue lor non si sentono stanche.
22. 91
Omè,
vedete l'altro che digrigna:
22. 92 i'
direi anche, ma i' temo ch'ello
22. 93 non
s'apparecchi a grattarmi la tigna».
22. 94 E
'l
gran proposto, vòlto a Farfarello
22. 95 che
stralunava li occhi per fedire,
22. 96
disse: «Fatti
'n costà, malvagio uccello!».
22. 97
«Se voi
volete vedere o udire»,
22. 98
ricominciò lo spaurato appresso
22. 99
«Toschi
o Lombardi, io ne farò venire;
22.100 ma
stieno i Malebranche un poco in cesso,
22.101
sì
ch'ei non teman de le lor vendette;
22.102 e
io,
seggendo in questo loco stesso,
22.103 per
un
ch'io son, ne farò venir sette
22.104
quand'io suffolerò, com'è nostro uso
22.105 di
fare
allor che fori alcun si mette».
22.106
Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso,
22.107
crollando 'l capo, e disse: «Odi malizia
22.108
ch'elli
ha pensata per gittarsi giuso!».
22.109
Ond'ei,
ch'avea lacciuoli a gran divizia,
22.110
rispuose: «Malizioso son io troppo,
22.111
quand'io procuro a' mia maggior trestizia».
22.112
Alichin
non si tenne e, di rintoppo
22.113 a
li
altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
22.114 io
non
ti verrò dietro di gualoppo,
22.115 ma
batterò sovra la pece l'ali.
22.116
Lascisi
'l collo, e sia la ripa scudo,
22.117 a
veder
se tu sol più di noi vali».
22.118 O
tu
che leggi, udirai nuovo ludo:
22.119
ciascun
da l'altra costa li occhi volse;
22.120
quel
prima, ch'a ciò fare era più crudo.
22.121 Lo
Navarrese ben suo tempo colse;
22.122
fermò
le piante a terra, e in un punto
22.123
saltò e
dal proposto lor si sciolse.
22.124 Di
che
ciascun di colpa fu compunto,
22.125 ma
quei
più che cagion fu del difetto;
22.126
però si
mosse e gridò: «Tu se' giunto!».
22.127 Ma
poco
i valse: ché l'ali al sospetto
22.128 non
potero avanzar: quelli andò sotto,
22.129 e
quei
drizzò volando suso il petto:
22.130 non
altrimenti l'anitra di botto,
22.131
quando
'l falcon s'appressa, giù s'attuffa,
22.132 ed
ei
ritorna sù crucciato e rotto.
22.133
Irato
Calcabrina de la buffa,
22.134
volando
dietro li tenne, invaghito
22.135 che
quei campasse per aver la zuffa;
22.136 e
come
'l barattier fu disparito,
22.137
così
volse li artigli al suo compagno,
22.138 e
fu
con lui sopra 'l fosso ghermito.
22.139 Ma
l'altro fu bene sparvier grifagno
22.140 ad
artigliar ben lui, e amendue
22.141
cadder
nel mezzo del bogliente stagno.
22.142
Lo caldo sghermitor sùbito fue;
22.143 ma
però
di levarsi era neente,
22.144
sì
avieno inviscate l'ali sue.
22.145
Barbariccia, con li altri suoi dolente,
22.146
quattro
ne fé volar da l'altra costa
22.147 con
tutt'i raffi, e assai prestamente
22.148 di
qua,
di là discesero a la posta;
22.149
porser
li uncini verso li 'mpaniati,
22.150
ch'eran
già cotti dentro da la crosta;
22.151 e
noi
lasciammo lor così 'mpacciati.
23. 1
Taciti,
soli, sanza compagnia
23. 2
n'andavam
l'un dinanzi e l'altro dopo,
23. 3 come
frati minor vanno per via.
23. 4
Vòlt'era
in su la favola d'Isopo
23. 5 lo
mio
pensier per la presente rissa,
23. 6
dov'el
parlò de la rana e del topo;
23. 7
ché più
non si pareggia "mo" e "issa"
23. 8 che
l'un
con l'altro fa, se ben s'accoppia
23. 9
principio e fine con la mente fissa.
23. 10 E
come
l'un pensier de l'altro scoppia,
23. 11
così
nacque di quello un altro poi,
23. 12 che
la
prima paura mi fé doppia.
23. 13 Io
pensava così: <<Questi per noi
23. 14
sono
scherniti con danno e con beffa
23. 15
sì
fatta, ch'assai credo che lor nòi.
23. 16 Se
l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa,
23. 17 ei
ne
verranno dietro più crudeli
23. 18 che
'l
cane a quella lievre ch'elli acceffa>>.
23. 19
Già mi
sentia tutti arricciar li peli
23. 20 de
la
paura e stava in dietro intento,
23. 21
quand'io dissi: <<Maestro, se non celi
23. 22 te
e me
tostamente, i' ho pavento
23. 23 de
Malebranche. Noi li avem già dietro;
23. 24 io
li
'magino sì, che già li sento>>.
23. 25 E
quei:
<<S'i' fossi di piombato vetro,
23. 26
l'imagine di fuor tua non trarrei
23. 27
più
tosto a me, che quella dentro 'mpetro.
23. 28 Pur
mo
venieno i tuo' pensier tra' miei
23. 29 con
simile atto e con simile faccia,
23. 30
sì che
d'intrambi un sol consiglio fei.
23. 31
S'elli
è che sì la destra costa giaccia,
23. 32 che
noi
possiam ne l'altra bolgia scendere
23. 33 noi
fuggirem l'maginata caccia>>.
23. 34
Già non
compié di tal consiglio rendere
23. 35
ch'io
li vidi venir con l'ali tese
23. 36 non
molto lungi, per volerne prendere.
23. 37 Lo
duca
mio di sùbito mi prese
23. 38
come la
madre ch'al romore è desta
23. 39 e
vede
presso a sè le fiamme accese
23. 40 che
prende il figlio e fugge e non s'arresta
23. 41
avendo
più di lui che di sé cura,
23. 42
tanto
che solo una camicia vesta;
23. 43 e
giù
dal collo de la ripa dura
23. 44
supin
si diede a la pendente roccia,
23. 45 che
l'un de' lati a l'altra bolgia tura.
23. 46 Non
corse mai sì tosto acqua per doccia
23. 47 a
volger ruota di molin terragno,
23. 48
quand'ella più verso le pale approccia,
23. 49
come 'l
maestro mio per quel vivagno,
23. 50
portandosene me sovra 'l suo petto,
23. 51
come
suo figlio, non come compagno.
23. 52 A pena
fuoro i piè suoi giunti al letto
23. 53 del
fondo giù, ch'e' furon in sul colle
23. 54
sovresso noi; ma non lì era sospetto;
23. 55
ché
l'alta provedenza che lor volle
23. 56
porre
ministri de la fossa quinta,
23. 57
poder
di partirs'indi a tutti tolle.
23. 58
Là giù
trovammo una gente dipinta
23. 59 che
giva intorno assai con lenti passi,
23. 60
piangendo e nel sembiante stanca e vinta.
23. 61
Elli
avean cappe con cappucci bassi
23. 62
dinanzi
a li occhi, fatte de la taglia
23. 63 che
in
Clugnì per li monaci fassi.
23. 64 Di
fuor
dorate son, sì ch'elli abbaglia;
23. 65 ma
dentro tutte piombo, e gravi tanto,
23. 66 che
Federigo le mettea di paglia.
23. 67 Oh
in
etterno faticoso manto!
23. 68 Noi
ci
volgemmo ancor pur a man manca
23. 69 con
loro insieme, intenti al tristo pianto;
23. 70 ma
per
lo peso quella gente stanca
23. 71
venìa
sì pian, che noi eravam nuovi
23. 72 di
compagnia ad ogne mover d'anca.
23. 73 Per
ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi
23. 74
alcun
ch'al fatto o al nome si conosca,
23. 75 e
li
occhi, sì andando, intorno movi».
23. 76 E
un
che 'ntese la parola tosca,
23. 77 di
retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
23. 78 voi
che
correte sì per l'aura fosca!
23. 79
Forse
ch'avrai da me quel che tu chiedi».
23. 80
Onde 'l
duca si volse e disse: «Aspetta
23. 81 e
poi
secondo il suo passo procedi».
23. 82
Ristetti,
e vidi due mostrar gran fretta
23. 83 de
l'animo, col viso, d'esser meco;
23. 84 ma
tardavali 'l carco e la via stretta.
23. 85
Quando
fuor giunti, assai con l'occhio bieco
23. 86 mi
rimiraron sanza far parola;
23. 87 poi
si
volsero in sé, e dicean seco:
23. 88
«Costui
par vivo a l'atto de la gola;
23. 89 e
s'e'
son morti, per qual privilegio
23. 90
vanno
scoperti de la grave stola?».
23. 91 Poi
disser me: «O Tosco, ch'al collegio
23. 92 de
l'ipocriti tristi se' venuto,
23. 93 dir
chi
tu se' non avere in dispregio».
23. 94 E
io a
loro: «I' fui nato e cresciuto
23. 95
sovra
'l bel fiume d'Arno a la gran villa,
23. 96 e
son
col corpo ch'i' ho sempre avuto.
23. 97 Ma
voi
chi siete, a cui tanto distilla
23. 98
quant'i' veggio dolor giù per le guance?
23. 99 e
che
pena è in voi che sì sfavilla?».
23.100 E
l'un
rispuose a me: «Le cappe rance
23.101 son
di
piombo sì grosse, che li pesi
23.102 fan
così cigolar le lor bilance.
23.103
Frati
godenti fummo, e bolognesi;
23.104 io
Catalano e questi Loderingo
23.105
nomati,
e da tua terra insieme presi,
23.106
come
suole esser tolto un uom solingo,
23.107 per
conservar sua pace; e fummo tali,
23.108
ch'ancor si pare intorno dal Gardingo».
23.109 Io
cominciai: «O frati, i vostri mali...»;
23.110 ma
più
non dissi, ch'a l'occhio mi corse
23.111 un,
crucifisso in terra con tre pali.
23.112
Quando
mi vide, tutto si distorse,
23.113
soffiando ne la barba con sospiri;
23.114 e
'l
frate Catalan, ch'a ciò s'accorse,
23.115 mi
disse: «Quel confitto che tu miri,
23.116
consigliò i Farisei che convenia
23.117
porre
un uom per lo popolo a' martìri.
23.118
Attraversato è, nudo, ne la via,
23.119
come tu
vedi, ed è mestier ch'el senta
23.120
qualunque passa, come pesa, pria.
23.121 E a
tal
modo il socero si stenta
23.122 in
questa fossa, e li altri dal concilio
23.123 che
fu
per li Giudei mala sementa».
23.124
Allor
vid'io maravigliar Virgilio
23.125
sovra
colui ch'era disteso in croce
23.126
tanto
vilmente ne l'etterno essilio.
23.127
Poscia
drizzò al frate cotal voce:
23.128
«Non vi
dispiaccia, se vi lece, dirci
23.129 s'a
la
man destra giace alcuna foce
23.130
onde
noi amendue possiamo uscirci,
23.131
sanza
costrigner de li angeli neri
23.132 che
vegnan d'esto fondo a dipartirci».
23.133
Rispuose adunque: «Più che tu non speri
23.134
s'appressa un sasso che de la gran cerchia
23.135 si
move
e varca tutt'i vallon feri,
23.136
salvo
che 'n questo è rotto e nol coperchia:
23.137
montar
potrete su per la ruina,
23.138 che
giace in costa e nel fondo soperchia».
23.139 Lo
duca
stette un poco a testa china;
23.140 poi
disse: «Mal contava la bisogna
23.141
colui
che i peccator di qua uncina».
23.142 E
'l
frate: «Io udi' già dire a Bologna
23.143 del
diavol vizi assai, tra ' quali udi'
23.144
ch'elli
è bugiardo, e padre di menzogna».
23.145
Appresso il duca a gran passi sen gì,
23.146
turbato
un poco d'ira nel sembiante;
23.147
ond'io
da li 'ncarcati mi parti'
23.148
dietro
a le poste de le care piante.
24. 1 In
quella parte del giovanetto anno
24. 2 che
'l
sole i crin sotto l'Aquario tempra
24. 3 e
già le
notti al mezzo dì sen vanno,
24. 4
quando
la brina in su la terra assempra
24. 5
l'imagine di sua sorella bianca,
24. 6 ma
poco
dura a la sua penna tempra,
24. 7 lo
villanello a cui la roba manca,
24. 8 si
leva,
e guarda, e vede la campagna
24. 9
biancheggiar tutta; ond'ei si batte l'anca,
24. 10
ritorna
in casa, e qua e là si lagna,
24. 11
come 'l
tapin che non sa che si faccia;
24. 12 poi
riede, e la speranza ringavagna,
24. 13
veggendo 'l mondo aver cangiata faccia
24. 14 in
poco
d'ora, e prende suo vincastro,
24. 15 e
fuor
le pecorelle a pascer caccia.
24. 16
Così mi
fece sbigottir lo mastro
24. 17
quand'io li vidi sì turbar la fronte,
24. 18 e
così
tosto al mal giunse lo 'mpiastro;
24. 19
ché,
come noi venimmo al guasto ponte,
24. 20 lo
duca
a me si volse con quel piglio
24. 21
dolce
ch'io vidi prima a piè del monte.
24. 22 Le
braccia aperse, dopo alcun consiglio
24. 23
eletto
seco riguardando prima
24. 24 ben
la
ruina, e diedemi di piglio.
24. 25 E
come
quei ch'adopera ed estima,
24. 26 che
sempre par che 'nnanzi si proveggia,
24. 27
così,
levando me sù ver la cima
24. 28
d'un
ronchione, avvisava un'altra scheggia
24. 29
dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa;
24. 30 ma
tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia».
24. 31 Non
era
via da vestito di cappa,
24. 32
ché noi
a pena, ei lieve e io sospinto,
24. 33
potavam
sù montar di chiappa in chiappa.
24. 34 E
se
non fosse che da quel precinto
24. 35
più che
da l'altro era la costa corta,
24. 36 non
so
di lui, ma io sarei ben vinto.
24. 37 Ma
perché Malebolge inver' la porta
24. 38 del
bassissimo pozzo tutta pende,
24. 39 lo
sito
di ciascuna valle porta
24. 40 che
l'una costa surge e l'altra scende;
24. 41 noi
pur
venimmo al fine in su la punta
24. 42
onde
l'ultima pietra si scoscende.
24. 43 La
lena
m'era del polmon sì munta
24. 44
quand'io fui sù, ch'i' non potea più oltre,
24. 45
anzi
m'assisi ne la prima giunta.
24. 46
«Omai
convien che tu così ti spoltre»,
24. 47
disse
'l maestro; «ché, seggendo in piuma,
24. 48 in
fama
non si vien, né sotto coltre;
24. 49
sanza
la qual chi sua vita consuma,
24. 50
cotal
vestigio in terra di sé lascia,
24. 51
qual
fummo in aere e in acqua la schiuma.
24. 52 E
però
leva sù: vinci l'ambascia
24. 53 con
l'animo che vince ogne battaglia,
24. 54 se
col
suo grave corpo non s'accascia.
24. 55
Più
lunga scala convien che si saglia;
24. 56 non
basta da costoro esser partito.
24. 57 Se
tu
mi 'ntendi, or fa sì che ti vaglia».
24. 58
Leva'mi
allor, mostrandomi fornito
24. 59
meglio
di lena ch'i' non mi sentìa;
24. 60 e
dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito».
24. 61 Su
per
lo scoglio prendemmo la via,
24. 62
ch'era
ronchioso, stretto e malagevole,
24. 63 ed
erto
più assai che quel di pria.
24. 64
Parlando andava per non parer fievole;
24. 65
onde
una voce uscì de l'altro fosso,
24. 66 a
parole formar disconvenevole.
24. 67 Non
so
che disse, ancor che sovra 'l dosso
24. 68
fossi
de l'arco già che varca quivi;
24. 69 ma
chi
parlava ad ire parea mosso.
24. 70 Io
era
vòlto in giù, ma li occhi vivi
24. 71 non
poteano ire al fondo per lo scuro;
24. 72 per
ch'io: «Maestro, fa che tu arrivi
24. 73 da
l'altro cinghio e dismontiam lo muro;
24. 74
ché,
com'i' odo quinci e non intendo,
24. 75
così
giù veggio e neente affiguro».
24. 76
«Altra
risposta», disse, «non ti rendo
24. 77 se
non
lo far; ché la dimanda onesta
24. 78 si
de'
seguir con l'opera tacendo».
24. 79 Noi
discendemmo il ponte da la testa
24. 80
dove
s'aggiugne con l'ottava ripa,
24. 81 e
poi
mi fu la bolgia manifesta:
24. 82 e
vidivi entro terribile stipa
24. 83 di
serpenti, e di sì diversa mena
24. 84 che
la
memoria il sangue ancor mi scipa.
24. 85
Più non
si vanti Libia con sua rena;
24. 86
ché se
chelidri, iaculi e faree
24. 87
produce, e cencri con anfisibena,
24. 88
né
tante pestilenzie né sì ree
24. 89
mostrò
già mai con tutta l'Etiopia
24. 90
né con
ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
24. 91 Tra
questa cruda e tristissima copia
24. 92
correan
genti nude e spaventate,
24. 93
sanza
sperar pertugio o elitropia:
24. 94 con
serpi le man dietro avean legate;
24. 95
quelle
ficcavan per le ren la coda
24. 96 e
'l
capo, ed eran dinanzi aggroppate.
24. 97 Ed
ecco
a un ch'era da nostra proda,
24. 98
s'avventò un serpente che 'l trafisse
24. 99
là dove
'l collo a le spalle s'annoda.
24.100
Né O sì
tosto mai né I si scrisse,
24.101
com'el
s'accese e arse, e cener tutto
24.102
convenne che cascando divenisse;
24.103 e
poi
che fu a terra sì distrutto,
24.104 la
polver si raccolse per sé stessa,
24.105 e
'n
quel medesmo ritornò di butto.
24.106
Così
per li gran savi si confessa
24.107 che
la
fenice more e poi rinasce,
24.108
quando
al cinquecentesimo anno appressa;
24.109
erba né
biado in sua vita non pasce,
24.110 ma
sol
d'incenso lagrime e d'amomo,
24.111 e
nardo
e mirra son l'ultime fasce.
24.112 E
qual
è quel che cade, e non sa como,
24.113 per
forza di demon ch'a terra il tira,
24.114 o
d'altra oppilazion che lega l'omo,
24.115
quando
si leva, che 'ntorno si mira
24.116
tutto
smarrito de la grande angoscia
24.117
ch'elli
ha sofferta, e guardando sospira:
24.118 tal
era
il peccator levato poscia.
24.119 Oh
potenza di Dio, quant'è severa,
24.120 che
cotai colpi per vendetta croscia!
24.121 Lo
duca
il domandò poi chi ello era;
24.122 per
ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana,
24.123
poco
tempo è, in questa gola fiera.
24.124
Vita
bestial mi piacque e non umana,
24.125
sì come
a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci
24.126
bestia,
e Pistoia mi fu degna tana».
24.127 E
io al
duca: «Dilli che non mucci,
24.128 e
domanda che colpa qua giù 'l pinse;
24.129
ch'io
'l vidi uomo di sangue e di crucci».
24.130 E
'l
peccator, che 'ntese, non s'infinse,
24.131 ma
drizzò verso me l'animo e 'l volto,
24.132 e
di
trista vergogna si dipinse;
24.133 poi
disse: «Più mi duol che tu m'hai colto
24.134 ne
la
miseria dove tu mi vedi,
24.135 che
quando fui de l'altra vita tolto.
24.136 Io
non
posso negar quel che tu chiedi;
24.137 in
giù
son messo tanto perch'io fui
24.138
ladro a
la sagrestia d'i belli arredi,
24.139 e
falsamente già fu apposto altrui.
24.140 Ma
perché di tal vista tu non godi,
24.141 se
mai
sarai di fuor da' luoghi bui,
24.142
apri li
orecchi al mio annunzio, e odi:
24.143
Pistoia
in pria d'i Neri si dimagra;
24.144 poi
Fiorenza rinova gente e modi.
24.145
Tragge
Marte vapor di Val di Magra
24.146
ch'è di
torbidi nuvoli involuto;
24.147 e
con
tempesta impetuosa e agra
24.148
sovra
Campo Picen fia combattuto;
24.149
ond'ei
repente spezzerà la nebbia,
24.150
sì
ch'ogne Bianco ne sarà feruto.
24.151 E
detto
l'ho perché doler ti debbia!».
25. 1 Al
fine
de le sue parole il ladro
25. 2 le
mani
alzò con amendue le fiche,
25. 3
gridando: «Togli, Dio, ch'a te le squadro!».
25. 4 Da
indi
in qua mi fuor le serpi amiche,
25. 5
perch'una li s'avvolse allora al collo,
25. 6 come
dicesse "Non vo' che più diche";
25. 7 e
un'altra a le braccia, e rilegollo,
25. 8
ribadendo sé stessa sì dinanzi,
25. 9 che
non
potea con esse dare un crollo.
25. 10 Ahi
Pistoia, Pistoia, ché non stanzi
25. 11
d'incenerarti sì che più non duri,
25. 12 poi
che
'n mal fare il seme tuo avanzi?
25. 13 Per
tutt'i cerchi de lo 'nferno scuri
25. 14 non
vidi spirto in Dio tanto superbo,
25. 15 non
quel che cadde a Tebe giù da' muri.
25. 16 El
si
fuggì che non parlò più verbo;
25. 17 e
io
vidi un centauro pien di rabbia
25. 18
venir
chiamando: «Ov'è, ov'è
l'acerbo?».
25. 19
Maremma
non cred'io che tante n'abbia,
25. 20
quante
bisce elli avea su per la groppa
25. 21
infin
ove comincia nostra labbia.
25. 22
Sovra
le spalle, dietro de la coppa,
25. 23 con
l'ali aperte li giacea un draco;
25. 24 e
quello affuoca qualunque s'intoppa.
25. 25 Lo
mio
maestro disse: <<Questi è Caco,
25. 26
che,
sotto 'l sasso di monte Aventino,
25. 27 di
sangue fece spesse volte laco.
25. 28 Non
va
co' suoi fratei per un cammino
25. 29 per
lo
furto che frodolente fece
25. 30 del
grande armento ch'elli ebbe a vicino;
25. 31
onde
cessar le sue opere biece
25. 32
sotto
la mazza d'Ercule, che forse
25. 33
gliene
diè cento, e non sentì le diece>>.
25. 34
Mentre
che sì parlava, ed el trascorse,
25. 35 e
tre
spiriti venner sotto noi,
25. 36 de'
quai né io né 'l duca mio s'accorse,
25. 37 se
non
quando gridar: <<Chi siete voi?>>;
25. 38 per
che
nostra novella si ristette,
25. 39 e
intendemmo pur ad essi poi.
25. 40 Io
non
li conoscea; ma ei seguette,
25. 41
come
suol seguitar per alcun caso,
25. 42 che
l'un nomar un altro convenette,
25. 43
dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»;
25. 44 per
ch'io, acciò che 'l duca stesse attento,
25. 45 mi
puosi 'l dito su dal mento al naso.
25. 46 Se
tu
se' or, lettore, a creder lento
25. 47
ciò
ch'io dirò, non sarà maraviglia,
25. 48
ché io
che 'l vidi, a pena il mi consento.
25. 49
Com'io
tenea levate in lor le ciglia,
25. 50 e
un
serpente con sei piè si lancia
25. 51
dinanzi
a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
25. 52 Co'
piè
di mezzo li avvinse la pancia,
25. 53 e
con
li anterior le braccia prese;
25. 54 poi
li
addentò e l'una e l'altra guancia;
25. 55 li
diretani a le cosce distese,
25. 56 e
miseli la coda tra 'mbedue,
25. 57 e
dietro per le ren sù la ritese.
25. 58
Ellera
abbarbicata mai non fue
25. 59 ad
alber sì, come l'orribil fiera
25. 60 per
l'altrui membra avviticchiò le sue.
25. 61 Poi
s'appiccar, come di calda cera
25. 62
fossero
stati, e mischiar lor colore,
25. 63
né l'un
né l'altro già parea quel ch'era:
25. 64
come
procede innanzi da l'ardore,
25. 65 per
lo
papiro suso, un color bruno
25. 66 che
non
è nero ancora e 'l bianco more.
25. 67 Li
altri due 'l riguardavano, e ciascuno
25. 68
gridava: «Omè, Agnel, come ti muti!
25. 69
Vedi
che già non se' né due né
uno».
25. 70
Già
eran li due capi un divenuti,
25. 71
quando
n'apparver due figure miste
25. 72 in
una
faccia, ov'eran due perduti.
25. 73
Fersi
le braccia due di quattro liste;
25. 74 le
cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso
25. 75
divenner membra che non fuor mai viste.
25. 76
Ogne
primaio aspetto ivi era casso:
25. 77 due
e
nessun l'imagine perversa
25. 78
parea;
e tal sen gio con lento passo.
25. 79
Come 'l
ramarro sotto la gran fersa
25. 80 dei
dì
canicular, cangiando sepe,
25. 81
folgore
par se la via attraversa,
25. 82
sì
pareva, venendo verso c
25. 83 de
li
altri due, un serpentello acceso,
25. 84
livido
e nero come gran di pepe;
25. 85 e
quella parte onde prima è preso
25. 86
nostro
alimento, a l'un di lor trafisse;
25. 87 poi
cadde giuso innanzi lui disteso.
25. 88 Lo
trafitto 'l mirò, ma nulla disse;
25. 89
anzi,
co' piè fermati, sbadigliava
25. 90 pur
come sonno o febbre l'assalisse.
25. 91
Elli 'l
serpente, e quei lui riguardava;
25. 92
l'un
per la piaga, e l'altro per la bocca
25. 93
fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
25. 94
Taccia
Lucano ormai là dove tocca
25. 95 del
misero Sabello e di Nasidio,
25. 96 e
attenda a udir quel ch'or si scocca.
25. 97
Taccia
di Cadmo e d'Aretusa Ovidio;
25. 98
ché se
quello in serpente e quella in fonte
25. 99
converte poetando, io non lo 'nvidio;
25.100
ché due
nature mai a fronte a fronte
25.101 non
trasmutò sì ch'amendue le forme
25.102 a
cambiar lor matera fosser pronte.
25.103
Insieme
si rispuosero a tai norme,
25.104 che
'l
serpente la coda in forca fesse,
25.105 e
il
feruto ristrinse insieme l'orme.
25.106 Le
gambe con le cosce seco stesse
25.107
s'appiccar sì, che 'n poco la giuntura
25.108 non
facea segno alcun che si paresse.
25.109
Togliea
la coda fessa la figura
25.110 che
si
perdeva là, e la sua pelle
25.111 si
facea molle, e quella di là dura.
25.112 Io
vidi
intrar le braccia per l'ascelle,
25.113 e i
due
piè de la fiera, ch'eran corti,
25.114
tanto
allungar quanto accorciavan quelle.
25.115
Poscia
li piè di retro, insieme attorti,
25.116
diventaron lo membro che l'uom cela,
25.117 e
'l
misero del suo n'avea due porti.
25.118
Mentre
che 'l fummo l'uno e l'altro vela
25.119 di
color novo, e genera 'l pel suso
25.120 per
l'una parte e da l'altra il dipela,
25.121
l'un si
levò e l'altro cadde giuso,
25.122 non
torcendo però le lucerne empie,
25.123
sotto
le quai ciascun cambiava muso.
25.124
Quel
ch'era dritto, il trasse ver' le tempie,
25.125 e
di
troppa matera ch'in là venne
25.126
uscir
li orecchi de le gote scempie;
25.127
ciò che
non corse in dietro e si ritenne
25.128 di
quel
soverchio, fé naso a la faccia
25.129 e
le
labbra ingrossò quanto convenne.
25.130
Quel
che giacea, il muso innanzi caccia,
25.131 e
li
orecchi ritira per la testa
25.132
come
face le corna la lumaccia;
25.133 e
la
lingua, ch'avea unita e presta
25.134
prima a
parlar, si fende, e la forcuta
25.135 ne
l'altro si richiude; e 'l fummo resta.
25.136
L'anima
ch'era fiera divenuta,
25.137
suffolando si fugge per la valle,
25.138 e
l'altro dietro a lui parlando sputa.
25.139
Poscia
li volse le novelle spalle,
25.140 e
disse
a l'altro: «I' vo' che Buoso corra,
25.141
com'ho
fatt'io, carpon per questo calle».
25.142
Così
vid'io la settima zavorra
25.143
mutare
e trasmutare; e qui mi scusi
25.144 la
novità se fior la penna abborra.
25.145 E
avvegna che li occhi miei confusi
25.146
fossero
alquanto e l'animo smagato,
25.147 non
poter quei fuggirsi tanto chiusi,
25.148
ch'i'
non scorgessi ben Puccio Sciancato;
25.149 ed
era
quel che sol, di tre compagni
25.150 che
venner prima, non era mutato;
25.151
l'altr'era quel che tu, Gaville, piagni.
26. 1
Godi,
Fiorenza, poi che se' sì grande,
26. 2 che
per
mare e per terra batti l'ali,
26. 3 e
per lo
'nferno tuo nome si spande!
26. 4 Tra
li
ladron trovai cinque cotali
26. 5 tuoi
cittadini onde mi ven vergogna,
26. 6 e tu
in
grande orranza non ne sali.
26. 7 Ma
se
presso al mattin del ver si sogna,
26. 8 tu
sentirai di qua da picciol tempo
26. 9 di
quel
che Prato, non ch'altri, t'agogna.
26. 10 E
se
già fosse, non saria per tempo.
26. 11
Così
foss'ei, da che pur esser dee!
26. 12
ché più
mi graverà, com'più m'attempo.
26. 13 Noi
ci
partimmo, e su per le scalee
26. 14 che
n'avea fatto iborni a scender pria,
26. 15
rimontò
'l duca mio e trasse mee;
26. 16 e
proseguendo la solinga via,
26. 17 tra
le
schegge e tra ' rocchi de lo scoglio
26. 18 lo
piè
sanza la man non si spedia.
26. 19
Allor
mi dolsi, e ora mi ridoglio
26. 20
quando
drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
26. 21 e
più
lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,
26. 22
perché
non corra che virtù nol guidi;
26. 23
sì che,
se stella bona o miglior cosa
26. 24
m'ha
dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.
26. 25
Quante
'l villan ch'al poggio si riposa,
26. 26 nel
tempo
che colui che 'l mondo schiara
26. 27 la
faccia sua a noi tien meno ascosa,
26. 28
come la
mosca cede alla zanzara,
26. 29
vede
lucciole giù per la vallea,
26. 30
forse
colà dov'e' vendemmia e ara:
26. 31 di
tante fiamme tutta risplendea
26. 32
l'ottava
bolgia, sì com'io m'accorsi
26. 33
tosto
che fui là 've 'l fondo parea.
26. 34 E
qual
colui che si vengiò con li orsi
26. 35
vide 'l
carro d'Elia al dipartire,
26. 36
quando
i cavalli al cielo erti levorsi,
26. 37 che
nol
potea sì con li occhi seguire,
26. 38
ch'el
vedesse altro che la fiamma sola,
26. 39
sì come
nuvoletta, in sù salire:
26. 40 tal
si
move ciascuna per la gola
26. 41 del
fosso, ché nessuna mostra 'l furto,
26. 42 e
ogne
fiamma un peccatore invola.
26. 43 Io
stava sovra 'l ponte a veder surto,
26. 44
sì che
s'io non avessi un ronchion preso,
26. 45
caduto
sarei giù sanz'esser urto.
26. 46 E
'l
duca che mi vide tanto atteso,
26. 47
disse:
«Dentro dai fuochi son li spirti;
26. 48
catun
si fascia di quel ch'elli è inceso».
26. 49 «Maestro
mio», rispuos'io, «per udirti
26. 50 son
io
più certo; ma già m'era avviso
26. 51 che
così fosse, e già voleva dirti:
26. 52 chi
è
'n quel foco che vien sì diviso
26. 53 di
sopra, che par surger de la pira
26. 54
dov'Eteòcle col fratel fu miso?».
26. 55
Rispuose a me: «Là dentro si martira
26. 56
Ulisse
e Diomede, e così insieme
26. 57 a
la
vendetta vanno come a l'ira;
26. 58 e
dentro da la lor fiamma si geme
26. 59
l'agguato del caval che fé la porta
26. 60
onde
uscì de' Romani il gentil seme.
26. 61
Piangevisi entro l'arte per che, morta,
26. 62
Deidamìa ancor si duol d'Achille,
26. 63 e
del
Palladio pena vi si porta».
26. 64
«S'ei
posson dentro da quelle faville
26. 65
parlar», diss'io, «maestro, assai ten priego
26. 66 e
ripriego, che 'l priego vaglia mille,
26. 67 che
non
mi facci de l'attender niego
26. 68 fin
che
la fiamma cornuta qua vegna;
26. 69
vedi
che del disio ver' lei mi piego!».
26. 70 Ed
elli
a me: «La tua preghiera è degna
26. 71 di
molta loda, e io però l'accetto;
26. 72 ma
fa
che la tua lingua si sostegna.
26. 73
Lascia
parlare a me, ch'i' ho concetto
26. 74
ciò che
tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
26. 75
perch'e' fuor greci, forse del tuo detto».
26. 76 Poi
che
la fiamma fu venuta quivi
26. 77
dove
parve al mio duca tempo e loco,
26. 78 in
questa forma lui parlare audivi:
26. 79
«O voi
che siete due dentro ad un foco,
26. 80
s'io
meritai di voi mentre ch'io vissi,
26. 81
s'io
meritai di voi assai o poco
26. 82
quando
nel mondo li alti versi scrissi,
26. 83 non
vi
movete; ma l'un di voi dica
26. 84
dove,
per lui, perduto a morir gissi».
26. 85 Lo
maggior corno de la fiamma antica
26. 86
cominciò a crollarsi mormorando
26. 87 pur
come quella cui vento affatica;
26. 88
indi la
cima qua e là menando,
26. 89
come
fosse la lingua che parlasse,
26. 90
gittò
voce di fuori, e disse: «Quando
26. 91 mi
diparti' da Circe, che sottrasse
26. 92 me
più
d'un anno là presso a Gaeta,
26. 93
prima
che sì Enea la nomasse,
26. 94
né
dolcezza di figlio, né la pieta
26. 95 del
vecchio padre, né 'l debito amore
26. 96 lo
qual
dovea Penelopé far lieta,
26. 97
vincer
potero dentro a me l'ardore
26. 98
ch'i'
ebbi a divenir del mondo esperto,
26. 99 e
de li
vizi umani e del valore;
26.100 ma
misi
me per l'alto mare aperto
26.101 sol
con
un legno e con quella compagna
26.102
picciola da la qual non fui diserto.
26.103
L'un
lito e l'altro vidi infin la Spagna,
26.104 fin
nel
Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
26.105 e
l'altre che quel mare intorno bagna.
26.106 Io
e '
compagni eravam vecchi e tardi
26.107
quando
venimmo a quella foce stretta
26.108
dov'Ercule segnò li suoi riguardi,
26.109
acciò
che l'uom più oltre non si metta:
26.110 da
la
man destra mi lasciai Sibilia,
26.111 da
l'altra già m'avea lasciata Setta.
26.112 "O
frati", dissi "che per cento milia
26.113
perigli
siete giunti a l'occidente,
26.114 a
questa tanto picciola vigilia
26.115 d'i
nostri sensi ch'è del rimanente,
26.116 non
vogliate negar l'esperienza,
26.117 di
retro al sol, del mondo sanza gente.
26.118
Considerate la vostra semenza:
26.119
fatti
non foste a viver come bruti,
26.120 ma
per
seguir virtute e canoscenza''.
26.121 Li
miei
compagni fec'io sì aguti,
26.122 con
questa orazion picciola, al cammino,
26.123 che
a
pena poscia li avrei ritenuti;
26.124 e
volta
nostra poppa nel mattino,
26.125 de'
remi facemmo ali al folle volo,
26.126
sempre
acquistando dal lato mancino.
26.127
Tutte
le stelle già de l'altro polo
26.128
vedea
la notte e 'l nostro tanto basso,
26.129 che
non
surgea fuor del marin suolo.
26.130
Cinque
volte racceso e tante casso
26.131 lo
lume
era di sotto da la luna,
26.132 poi
che
'ntrati eravam ne l'alto passo,
26.133
quando
n'apparve una montagna, bruna
26.134 per
la
distanza, e parvemi alta tanto
26.135
quanto
veduta non avea alcuna.
26.136 Noi
ci
allegrammo, e tosto tornò in pianto,
26.137
ché de
la nova terra un turbo nacque,
26.138 e
percosse del legno il primo canto.
26.139 Tre
volte il fé girar con tutte l'acque;
26.140 a
la
quarta levar la poppa in suso
26.141 e
la
prora ire in giù, com'altrui piacque,
26.142
infin
che 'l mar fu sovra noi richiuso».
27. 1
Già era
dritta in sù la fiamma e queta
27. 2 per
non
dir più, e già da noi sen gia
27. 3 con
la
licenza del dolce poeta,
27. 4
quand'un'altra, che dietro a lei venia,
27. 5 ne
fece
volger li occhi a la sua cima
27. 6 per
un
confuso suon che fuor n'uscia.
27. 7 Come
'l
bue cicilian che mugghiò prima
27. 8 col
pianto di colui, e ciò fu dritto,
27. 9 che
l'avea temperato con sua lima,
27. 10
mugghiava con la voce de l'afflitto,
27. 11
sì che,
con tutto che fosse di rame,
27. 12 pur
el
pareva dal dolor trafitto;
27. 13
così,
per non aver via né forame
27. 14 dal
principio nel foco, in suo linguaggio
27. 15 si
convertian le parole grame.
27. 16 Ma
poscia ch'ebber colto lor viaggio
27. 17 su
per
la punta, dandole quel guizzo
27. 18 che
dato avea la lingua in lor passaggio,
27. 19
udimmo
dire: «O tu a cu' io drizzo
27. 20 la
voce
e che parlavi mo lombardo,
27. 21
dicendo
"Istra ten va, più non t'adizzo",
27. 22
perch'io sia giunto forse alquanto tardo,
27. 23 non
t'incresca restare a parlar meco;
27. 24
vedi
che non incresce a me, e ardo!
27. 25 Se
tu
pur mo in questo mondo cieco
27. 26
caduto
se' di quella dolce terra
27. 27
latina
ond'io mia colpa tutta reco,
27. 28
dimmi
se Romagnuoli han pace o guerra;
27. 29
ch'io
fui de' monti là intra Orbino
27. 30 e
'l
giogo di che Tever si diserra».
27. 31 Io
era
in giuso ancora attento e chino,
27. 32
quando
il mio duca mi tentò di costa,
27. 33
dicendo: «Parla tu; questi è latino».
27. 34 E
io,
ch'avea già pronta la risposta,
27. 35
sanza
indugio a parlare incominciai:
27. 36
«O
anima che se' là giù nascosta,
27. 37
Romagna
tua non è, e non fu mai,
27. 38
sanza
guerra ne' cuor de' suoi tiranni;
27. 39 ma
'n
palese nessuna or vi lasciai.
27. 40
Ravenna
sta come stata è molt'anni:
27. 41
l'aguglia da Polenta la si cova,
27. 42
sì che
Cervia ricuopre co' suoi vanni.
27. 43 La
terra che fé già la lunga prova
27. 44 e
di
Franceschi sanguinoso mucchio,
27. 45
sotto
le branche verdi si ritrova.
27. 46 E
'l
mastin vecchio e 'l nuovo da Verrucchio,
27. 47 che
fecer di Montagna il mal governo,
27. 48
là dove
soglion fan d'i denti succhio.
27. 49 Le
città di Lamone e di Santerno
27. 50
conduce
il lioncel dal nido bianco,
27. 51 che
muta parte da la state al verno.
27. 52 E
quella cu' il Savio bagna il fianco,
27. 53
così
com'ella sie' tra 'l piano e 'l monte
27. 54 tra
tirannia si vive e stato franco.
27. 55 Ora
chi
se', ti priego che ne conte;
27. 56 non
esser duro più ch'altri sia stato,
27. 57 se
'l
nome tuo nel mondo tegna fronte».
27. 58
Poscia
che 'l foco alquanto ebbe rugghiato
27. 59 al
modo
suo, l'aguta punta mosse
27. 60 di
qua,
di là, e poi diè cotal fiato:
27. 61
«S'i'
credesse che mia risposta fosse
27. 62 a
persona che mai tornasse al mondo,
27. 63
questa
fiamma staria sanza più scosse;
27. 64 ma
però
che già mai di questo fondo
27. 65 non
tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
27. 66
sanza
tema d'infamia ti rispondo.
27. 67 Io
fui
uom d'arme, e poi fui cordigliero,
27. 68
credendomi,
sì cinto, fare ammenda;
27. 69 e
certo
il creder mio venìa intero,
27. 70 se
non
fosse il gran prete, a cui mal prenda!,
27. 71 che
mi
rimise ne le prime colpe;
27. 72 e
come
e quare, voglio che m'intenda.
27. 73
Mentre
ch'io forma fui d'ossa e di polpe
27. 74 che
la
madre mi diè, l'opere mie
27. 75 non
furon leonine, ma di volpe.
27. 76 Li
accorgimenti e le coperte vie
27. 77 io
seppi tutte, e sì menai lor arte,
27. 78
ch'al
fine de la terra il suono uscie.
27. 79
Quando
mi vidi giunto in quella parte
27. 80 di
mia
etade ove ciascun dovrebbe
27. 81
calar
le vele e raccoglier le sarte,
27. 82
ciò che
pria mi piacea, allor m'increbbe,
27. 83 e
pentuto e confesso mi rendei;
27. 84 ahi
miser lasso! e giovato sarebbe.
27. 85 Lo
principe d'i novi Farisei,
27. 86
avendo
guerra presso a Laterano,
27. 87 e
non
con Saracin né con Giudei,
27. 88
ché
ciascun suo nimico era cristiano,
27. 89 e
nessun era stato a vincer Acri
27. 90
né
mercatante in terra di Soldano;
27. 91
né
sommo officio né ordini sacri
27. 92
guardò
in sé, né in me quel capestro
27. 93 che
solea fare i suoi cinti più macri.
27. 94 Ma
come
Costantin chiese Silvestro
27. 95
d'entro
Siratti a guerir de la lebbre;
27. 96
così mi
chiese questi per maestro
27. 97 a
guerir de la sua superba febbre:
27. 98
domandommi consiglio, e io tacetti
27. 99
perché
le sue parole parver ebbre.
27.100 E'
poi
ridisse: "Tuo cuor non sospetti;
27.101
finor
t'assolvo, e tu m'insegna fare
27.102
sì come
Penestrino in terra getti.
27.103 Lo
ciel
poss'io serrare e diserrare,
27.104
come tu
sai; però son due le chiavi
27.105 che
'l
mio antecessor non ebbe care".
27.106
Allor
mi pinser li argomenti gravi
27.107
là 've
'l tacer mi fu avviso 'l peggio,
27.108 e
dissi: "Padre, da che tu mi lavi
27.109 di
quel
peccato ov'io mo cader deggio,
27.110
lunga
promessa con l'attender corto
27.111 ti
farà
triunfar ne l'alto seggio".
27.112
Francesco venne poi com'io fu' morto,
27.113 per
me;
ma un d'i neri cherubini
27.114 li
disse: "Non portar: non mi far torto.
27.115
Venir
se ne dee giù tra ' miei meschini
27.116
perché
diede 'l consiglio frodolente,
27.117 dal
quale in qua stato li sono a' crini;
27.118
ch'assolver non si può chi non si pente,
27.119
né
pentere e volere insieme puossi
27.120 per
la
contradizion che nol consente".
27.121 Oh
me
dolente! come mi riscossi
27.122
quando
mi prese dicendomi: "Forse
27.123 tu
non
pensavi ch'io loico fossi!".
27.124 A
Minòs
mi portò; e quelli attorse
27.125
otto
volte la coda al dosso duro;
27.126 e
poi
che per gran rabbia la si morse,
27.127
disse:
"Questi è d'i rei del foco furo";
27.128 per
ch'io là dove vedi son perduto,
27.129 e
sì
vestito, andando, mi rancuro».
27.130
Quand'elli ebbe 'l suo dir così compiuto,
27.131 la
fiamma dolorando si partio,
27.132
torcendo e dibattendo 'l corno aguto.
27.133 Noi
passamm'oltre, e io e 'l duca mio,
27.134 su
per
lo scoglio infino in su l'altr'arco
27.135 che
cuopre 'l fosso in che si paga il fio
27.136 a
quei
che scommettendo acquistan carco.
28. 1 Chi
poria mai pur con parole sciolte
28. 2
dicer
del sangue e de le piaghe a pieno
28. 3
ch'i'
ora vidi, per narrar più volte?
28. 4 Ogne
lingua per certo verria meno
28. 5 per
lo
nostro sermone e per la mente
28. 6
c'hanno
a tanto comprender poco seno.
28. 7 S'el
s'aunasse
ancor tutta la gente
28. 8 che
già
in su la fortunata terra
28. 9 di
Puglia, fu del suo sangue dolente
28. 10 per
li
Troiani e per la lunga guerra
28. 11 che
de
l'anella fé sì alte spoglie,
28. 12
come
Livio scrive, che non erra,
28. 13 con
quella
che sentio di colpi doglie
28. 14 per
contastare a Ruberto Guiscardo;
28. 15 e
l'altra il cui ossame ancor s'accoglie
28. 16 a
Ceperan, là dove fu bugiardo
28. 17
ciascun
Pugliese, e là da Tagliacozzo,
28. 18
dove
sanz'arme vinse il vecchio Alardo;
28. 19 e
qual
forato suo membro e qual mozzo
28. 20
mostrasse, d'aequar sarebbe nulla
28. 21 il
modo
de la nona bolgia sozzo.
28. 22
Già
veggia, per mezzul perdere o lulla,
28. 23
com'io
vidi un, così non si pertugia,
28. 24
rotto
dal mento infin dove si trulla.
28. 25 Tra
le
gambe pendevan le minugia;
28. 26 la
corata pareva e 'l tristo sacco
28. 27 che
merda fa di quel che si trangugia.
28. 28
Mentre
che tutto in lui veder m'attacco,
28. 29
guardommi, e con le man s'aperse il petto,
28. 30
dicendo: «Or vedi com'io mi dilacco!
28. 31 vedi
come storpiato è Maometto!
28. 32
Dinanzi
a me sen va piangendo Alì,
28. 33
fesso
nel volto dal mento al ciuffetto.
28. 34 E
tutti
li altri che tu vedi qui,
28. 35
seminator di scandalo e di scisma
28. 36
fuor
vivi, e però son fessi così.
28. 37 Un
diavolo è qua dietro che n'accisma
28. 38
sì
crudelmente, al taglio de la spada
28. 39
rimettendo ciascun di questa risma,
28. 40
quand'avem volta la dolente strada;
28. 41
però
che le ferite son richiuse
28. 42
prima
ch'altri dinanzi li rivada.
28. 43 Ma
tu
chi se' che 'n su lo scoglio muse,
28. 44
forse
per indugiar d'ire a la pena
28. 45
ch'è
giudicata in su le tue accuse?».
28. 46
«Né
morte 'l giunse ancor, né colpa 'l mena»,
28. 47
rispuose 'l mio maestro «a tormentarlo;
28. 48 ma
per
dar lui esperienza piena,
28. 49 a
me,
che morto son, convien menarlo
28. 50 per
lo
'nferno qua giù di giro in giro;
28. 51 e
quest'è ver così com'io ti parlo».
28. 52
Più
fuor di cento che, quando l'udiro,
28. 53
s'arrestaron nel fosso a riguardarmi
28. 54 per
maraviglia obliando il martiro.
28. 55
«Or dì
a fra Dolcin dunque che s'armi,
28. 56 tu
che
forse vedra' il sole in breve,
28. 57
s'ello
non vuol qui tosto seguitarmi,
28. 58
sì di
vivanda, che stretta di neve
28. 59 non
rechi la vittoria al Noarese,
28. 60
ch'altrimenti acquistar non sarìa leve».
28. 61 Poi
che
l'un piè per girsene sospese,
28. 62
Maometto mi disse esta parola;
28. 63
indi a
partirsi in terra lo distese.
28. 64 Un
altro, che forata avea la gola
28. 65 e
tronco 'l naso infin sotto le ciglia,
28. 66 e
non
avea mai ch'una orecchia sola,
28. 67
ristato
a riguardar per maraviglia
28. 68 con
li
altri, innanzi a li altri aprì la canna,
28. 69
ch'era
di fuor d'ogni parte vermiglia,
28. 70 e
disse: «O tu cui colpa non condanna
28. 71 e
cu'
io vidi su in terra latina,
28. 72 se
troppa simiglianza non m'inganna,
28. 73
rimembriti di Pier da Medicina,
28. 74 se
mai
torni a veder lo dolce piano
28. 75 che
da
Vercelli a Marcabò dichina.
28. 76 E fa
saper a' due miglior da Fano,
28. 77 a
messer Guido e anco ad Angiolello,
28. 78
che, se
l'antiveder qui non è vano,
28. 79
gittati
saran fuor di lor vasello
28. 80 e
mazzerati presso a la Cattolica
28. 81 per
tradimento d'un tiranno fello.
28. 82 Tra
l'isola di Cipri e di Maiolica
28. 83 non
vide mai sì gran fallo Nettuno,
28. 84 non
da
pirate, non da gente argolica.
28. 85
Quel
traditor che vede pur con l'uno,
28. 86 e
tien
la terra che tale qui meco
28. 87
vorrebbe di vedere esser digiuno,
28. 88
farà
venirli a parlamento seco;
28. 89 poi
farà sì, ch'al vento di Focara
28. 90 non
sarà lor mestier voto né preco».
28. 91 E
io a
lui: «Dimostrami e dichiara,
28. 92 se
vuo'
ch'i' porti sù di te novella,
28. 93 chi
è
colui da la veduta amara».
28. 94
Allor
puose la mano a la mascella
28. 95
d'un
suo compagno e la bocca li aperse,
28. 96
gridando: «Questi è desso, e non favella.
28. 97
Questi,
scacciato, il dubitar sommerse
28. 98 in
Cesare, affermando che 'l fornito
28. 99
sempre
con danno l'attender sofferse».
28.100 Oh
quanto mi pareva sbigottito
28.101 con
la
lingua tagliata ne la strozza
28.102
Curio,
ch'a dir fu così ardito!
28.103 E
un
ch'avea l'una e l'altra man mozza,
28.104
levando
i moncherin per l'aura fosca,
28.105
sì che
'l sangue facea la faccia sozza,
28.106
gridò:
«Ricordera'ti anche del Mosca,
28.107 che
disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta",
28.108 che
fu
mal seme per la gente tosca».
28.109 E
io li
aggiunsi: «E morte di tua schiatta»;
28.110 per
ch'elli, accumulando duol con duolo,
28.111 sen
gio
come persona trista e matta.
28.112 Ma
io
rimasi a riguardar lo stuolo,
28.113 e
vidi
cosa, ch'io avrei paura,
28.114
sanza
più prova, di contarla solo;
28.115 se
non
che coscienza m'assicura,
28.116 la
buona compagnia che l'uom francheggia
28.117
sotto
l'asbergo del sentirsi pura.
28.118 Io
vidi
certo, e ancor par ch'io 'l veggia,
28.119 un
busto sanza capo andar sì come
28.120
andavan
li altri de la trista greggia;
28.121 e
'l
capo tronco tenea per le chiome,
28.122
pesol
con mano a guisa di lanterna;
28.123 e
quel
mirava noi e dicea: «Oh me!».
28.124 Di sé
facea a sé stesso lucerna,
28.125 ed
eran
due in uno e uno in due:
28.126
com'esser può, quei sa che sì governa.
28.127
Quando
diritto al piè del ponte fue,
28.128
levò 'l
braccio alto con tutta la testa,
28.129 per
appressarne le parole sue,
28.130 che
fuoro: «Or vedi la pena molesta
28.131 tu
che,
spirando, vai veggendo i morti:
28.132
vedi
s'alcuna è grande come questa.
28.133 E
perché tu di me novella porti,
28.134
sappi
ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli
28.135 che
diedi al re giovane i ma' conforti.
28.136 Io
feci
il padre e 'l figlio in sé ribelli:
28.137
Achitofèl non fé più d'Absalone
28.138 e
di
Davìd coi malvagi punzelli.
28.139
Perch'io parti' così giunte persone,
28.140
partito
porto il mio cerebro, lasso!,
28.141 dal
suo
principio ch'è in questo troncone.
28.142
Così
s'osserva in me lo contrapasso».
29. 1 La
molta
gente e le diverse piaghe
29. 2
avean le
luci mie sì inebriate,
29. 3 che
de
lo stare a piangere eran vaghe.
29. 4 Ma
Virgilio mi disse: «Che pur guate?
29. 5
perché
la vista tua pur si soffolge
29. 6
là giù
tra l'ombre triste smozzicate?
29. 7 Tu
non
hai fatto sì a l'altre bolge;
29. 8
pensa,
se tu annoverar le credi,
29. 9 che
miglia ventidue la valle volge.
29. 10 E
già
la luna è sotto i nostri piedi:
29. 11 lo
tempo è poco omai che n'è concesso,
29. 12 e
altro
è da veder che tu non vedi».
29. 13
«Se tu
avessi», rispuos'io appresso,
29. 14
«atteso
a la cagion perch'io guardava,
29. 15
forse
m'avresti ancor lo star dimesso».
29. 16
Parte
sen giva, e io retro li andava,
29. 17 lo
duca, già faccendo la risposta,
29. 18 e
soggiugnendo: «Dentro a quella cava
29. 19
dov'io
tenea or li occhi sì a posta,
29. 20
credo
ch'un spirto del mio sangue pianga
29. 21 la
colpa
che là giù cotanto costa».
29. 22
Allor
disse 'l maestro: «Non si franga
29. 23 lo
tuo
pensier da qui innanzi sovr'ello.
29. 24
Attendi
ad altro, ed ei là si rimanga;
29. 25
ch'io
vidi lui a piè del ponticello
29. 26
mostrarti, e minacciar forte, col dito,
29. 27 e
udi'
'l nominar Geri del Bello.
29. 28 Tu
eri
allor sì del tutto impedito
29. 29
sovra
colui che già tenne Altaforte,
29. 30 che
non
guardasti in là, sì fu partito».
29. 31
«O duca
mio, la violenta morte
29. 32 che
non
li è vendicata ancor», diss'io,
29. 33
«per
alcun che de l'onta sia consorte,
29. 34
fece
lui disdegnoso; ond'el sen gio
29. 35
sanza
parlarmi, sì com'io estimo:
29. 36 e
in
ciò m'ha el fatto a sé più
pio».
29. 37
Così
parlammo infino al loco primo
29. 38 che
de
lo scoglio l'altra valle mostra,
29. 39 se
più
lume vi fosse, tutto ad imo.
29. 40
Quando
noi fummo sor l'ultima chiostra
29. 41 di
Malebolge, sì che i suoi conversi
29. 42
potean
parere a la veduta nostra,
29. 43
lamenti
saettaron me diversi,
29. 44 che
di
pietà ferrati avean li strali;
29. 45
ond'io
li orecchi con le man copersi.
29.
46 Qual dolor fora, se de li spedali,
29. 47 di
Valdichiana tra 'l luglio e 'l settembre
29. 48 e
di
Maremma e di Sardigna i mali
29. 49
fossero
in una fossa tutti 'nsembre,
29. 50 tal
era
quivi, e tal puzzo n'usciva
29. 51
qual
suol venir de le marcite membre.
29. 52 Noi
discendemmo in su l'ultima riva
29. 53 del
lungo scoglio, pur da man sinistra;
29. 54 e
allor
fu la mia vista più viva
29. 55
giù ver
lo fondo, la 've la ministra
29. 56 de
l'alto Sire infallibil giustizia
29. 57
punisce
i falsador che qui registra.
29. 58 Non
credo ch'a veder maggior tristizia
29. 59
fosse
in Egina il popol tutto infermo,
29. 60
quando
fu l'aere sì pien di malizia,
29. 61 che
li
animali, infino al picciol vermo,
29. 62
cascaron tutti, e poi le genti antiche,
29. 63
secondo
che i poeti hanno per fermo,
29. 64 si
ristorar di seme di formiche;
29. 65
ch'era
a veder per quella oscura valle
29. 66
languir
li spirti per diverse biche.
29. 67
Qual sovra
'l ventre, e qual sovra le spalle
29. 68
l'un de
l'altro giacea, e qual carpone
29. 69 si
trasmutava per lo tristo calle.
29. 70
Passo
passo andavam sanza sermone,
29. 71
guardando e ascoltando li ammalati,
29. 72 che
non
potean levar le lor persone.
29. 73 Io
vidi
due sedere a sé poggiati,
29. 74
com'a
scaldar si poggia tegghia a tegghia,
29. 75 dal
capo al piè di schianze macolati;
29. 76 e
non
vidi già mai menare stregghia
29. 77 a
ragazzo aspettato dal segnorso,
29. 78
né a
colui che mal volontier vegghia,
29. 79
come
ciascun menava spesso il morso
29. 80 de
l'unghie sopra sé per la gran rabbia
29. 81 del
pizzicor, che non ha più soccorso;
29. 82 e
sì
traevan giù l'unghie la scabbia,
29. 83
come
coltel di scardova le scaglie
29. 84 o
d'altro pesce che più larghe l'abbia.
29. 85
«O tu
che con le dita ti dismaglie»,
29. 86
cominciò 'l duca mio a l'un di loro,
29. 87
«e che
fai d'esse talvolta tanaglie,
29. 88
dinne
s'alcun Latino è tra costoro
29. 89 che
son
quinc'entro, se l'unghia ti basti
29. 90
etternalmente a cotesto lavoro».
29. 91
«Latin
siam noi, che tu vedi sì guasti
29. 92 qui
ambedue», rispuose l'un piangendo;
29. 93
«ma tu
chi se' che di noi dimandasti?».
29. 94 E
'l
duca disse: «I' son un che discendo
29. 95 con
questo vivo giù di balzo in balzo,
29. 96 e
di
mostrar lo 'nferno a lui intendo».
29. 97
Allor
si ruppe lo comun rincalzo;
29. 98 e
tremando ciascuno a me si volse
29. 99 con
altri che l'udiron c.
29.100 Lo
buon
maestro a me tutto s'accolse,
29.101
dicendo: «Dì a lor ciò che tu
vuoli»;
29.102 e
io
incominciai, poscia ch'ei volse:
29.103
«Se la
vostra memoria non s'imboli
29.104 nel
primo mondo da l'umane menti,
29.105 ma
s'ella viva sotto molti soli,
29.106
ditemi
chi voi siete e di che genti;
29.107 la
vostra sconcia e fastidiosa pena
29.108 di
palesarvi a me non vi spaventi».
29.109
«Io fui
d'Arezzo, e Albero da Siena»,
29.110
rispuose l'un, «mi fé mettere al foco;
29.111 ma
quel
per ch'io mori' qui non mi mena.
29.112
Vero è
ch'i' dissi lui, parlando a gioco:
29.113 I'
mi
saprei levar per l'aere a volo;
29.114 e
quei,
ch'avea vaghezza e senno poco,
29.115
volle
ch'i' li mostrassi l'arte; e solo
29.116
perch'io nol feci Dedalo, mi fece
29.117
ardere
a tal che l'avea per figliuolo.
29.118 Ma
nell
'ultima bolgia de le diece
29.119 me
per
l'alchìmia che nel mondo usai
29.120
dannò
Minòs, a cui fallar non lece».
29.121 E
io
dissi al poeta: «Or fu già mai
29.122
gente
sì vana come la sanese?
29.123
Certo
non la francesca sì d'assai!».
29.124
Onde
l'altro lebbroso, che m'intese,
29.125
rispuose al detto mio: «Tra'mene Stricca
29.126 che
seppe far le temperate spese,
29.127 e
Niccolò che la costuma ricca
29.128 del
garofano prima discoverse
29.129 ne
l'orto dove tal seme s'appicca;
29.130 e
tra'ne la brigata in che disperse
29.131
Caccia
d'Ascian la vigna e la gran fonda,
29.132 e
l'Abbagliato suo senno proferse.
29.133 Ma
perché sappi chi sì ti seconda
29.134
contra
i Sanesi, aguzza ver me l'occhio,
29.135
sì che
la faccia mia ben ti risponda:
29.136
sì
vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio,
29.137 che
falsai li metalli con l'alchìmia;
29.138 e
te
dee ricordar, se ben t'adocchio,
29.139
com'io
fui di natura buona scimia».
30. 1 Nel
tempo che Iunone era crucciata
30. 2 per
Semelè contra 'l sangue tebano,
30. 3 come
mostrò una e altra fiata,
30. 4
Atamante
divenne tanto insano,
30. 5 che
veggendo la moglie con due figli
30. 6
andar
carcata da ciascuna mano,
30. 7
gridò:
«Tendiam le reti, sì ch'io pigli
30. 8 la
leonessa e ' leoncini al varco»;
30. 9 e
poi
distese i dispietati artigli,
30. 10
prendendo l'un ch'avea nome Learco,
30. 11 e
rotollo e percosselo ad un sasso;
30. 12 e
quella s'annegò con l'altro carco.
30. 13 E
quando la fortuna volse in basso
30. 14
l'altezza de' Troian che tutto ardiva,
30. 15
sì che
'nsieme col regno il re fu casso,
30. 16
Ecuba
trista, misera e cattiva,
30. 17
poscia
che vide Polissena morta,
30. 18 e
del
suo Polidoro in su la riva
30. 19 del
mar
si fu la dolorosa accorta,
30. 20
forsennata latrò sì come cane;
30. 21
tanto
il dolor le fé la mente torta.
30. 22 Ma
né
di Tebe furie né troiane
30. 23 si
vider mai in alcun tanto crude,
30. 24 non
punger bestie, nonché membra umane,
30. 25
quant'io vidi in due ombre smorte e nude,
30. 26 che
mordendo correvan di quel modo
30. 27 che
'l
porco quando del porcil si schiude.
30. 28
L'una
giunse a Capocchio, e in sul nodo
30. 29 del
collo l'assannò, sì che, tirando,
30. 30
grattar
li fece il ventre al fondo sodo.
30. 31 E
l'Aretin che rimase, tremando
30. 32 mi
disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi,
30. 33 e
va
rabbioso altrui così conciando».
30. 34
«Oh!»,
diss'io lui, «se l'altro non ti ficchi
30. 35 li
denti a dosso, non ti sia fatica
30. 36 a
dir
chi è, pria che di qui si spicchi».
30. 37 Ed
elli
a me: «Quell'è l'anima antica
30. 38 di
Mirra scellerata, che divenne
30. 39 al
padre fuor del dritto amore amica.
30. 40 Questa
a peccar con esso così venne,
30. 41
falsificando sé in altrui forma,
30. 42
come
l'altro che là sen va, sostenne,
30. 43 per
guadagnar la donna de la torma,
30. 44
falsificare in sé Buoso Donati,
30. 45
testando e dando al testamento norma».
30. 46 E
poi
che i due rabbiosi fuor passati
30. 47
sovra
cu' io avea l'occhio tenuto,
30. 48
rivolsilo a guardar li altri mal nati.
30. 49 Io
vidi
un, fatto a guisa di leuto,
30. 50 pur
ch'elli avesse avuta l'anguinaia
30. 51
tronca
da l'altro che l'uomo ha forcuto.
30. 52 La
grave idropesì, che sì dispaia
30. 53 le
membra con l'omor che mal converte,
30. 54 che
'l
viso non risponde a la ventraia,
30. 55
facea
lui tener le labbra aperte
30. 56
come
l'etico fa, che per la sete
30. 57
l'un
verso 'l mento e l'altro in sù rinverte.
30. 58
«O voi
che sanz'alcuna pena siete,
30. 59 e
non
so io perché, nel mondo gramo»,
30. 60
diss'elli a noi, «guardate e attendete
30.
61 a la miseria del maestro Adamo:
30. 62 io
ebbi
vivo assai di quel ch'i' volli,
30. 63 e
ora,
lasso!, un gocciol d'acqua bramo.
30. 64 Li
ruscelletti che d'i verdi colli
30. 65 del
Casentin discendon giuso in Arno,
30. 66
faccendo i lor canali freddi e molli,
30. 67
sempre
mi stanno innanzi, e non indarno,
30. 68
ché
l'imagine lor vie più m'asciuga
30. 69 che
'l
male ond'io nel volto mi discarno.
30. 70 La
rigida giustizia che mi fruga
30. 71
tragge
cagion del loco ov'io peccai
30. 72 a
metter più li miei sospiri in fuga.
30. 73 Ivi
è
Romena, là dov'io falsai
30. 74 la
lega
suggellata del Batista;
30. 75 per
ch'io il corpo sù arso lasciai.
30. 76 Ma
s'io
vedessi qui l'anima trista
30. 77 di
Guido o d'Alessandro o di lor frate,
30. 78 per
Fonte Branda non darei la vista.
30. 79
Dentro
c'è l'una già, se l'arrabbiate
30. 80
ombre
che vanno intorno dicon vero;
30. 81 ma
che
mi val, c'ho le membra legate?
30. 82
S'io
fossi pur di tanto ancor leggero
30. 83
ch'i'
potessi in cent'anni andare un'oncia,
30. 84 io
sarei messo già per lo sentiero,
30. 85
cercando lui tra questa gente sconcia,
30. 86 con
tutto ch'ella volge undici miglia,
30. 87 e
men
d'un mezzo di traverso non ci ha.
30. 88 Io
son
per lor tra sì fatta famiglia:
30. 89 e'
m'indussero a batter li fiorini
30. 90
ch'avevan tre carati di mondiglia».
30. 91 E
io a
lui: «Chi son li due tapini
30. 92 che
fumman come man bagnate 'l verno,
30. 93
giacendo stretti a' tuoi destri confini?».
30. 94
«Qui li
trovai - e poi volta non dierno - »,
30. 95
rispuose, «quando piovvi in questo greppo,
30. 96 e
non
credo che dieno in sempiterno.
30. 97
L'una è
la falsa ch'accusò Gioseppo;
30. 98
l'altr'è 'l falso Sinon greco di Troia:
30. 99 per
febbre aguta gittan tanto leppo».
30.100 E
l'un
di lor, che si recò a noia
30.101
forse
d'esser nomato sì oscuro,
30.102 col
pugno li percosse l'epa croia.
30.103
Quella
sonò come fosse un tamburo;
30.104 e
mastro Adamo li percosse il volto
30.105 col
braccio suo, che non parve men duro,
30.106
dicendo
a lui: «Ancor che mi sia tolto
30.107 lo
muover per le membra che son gravi,
30.108 ho
io
il braccio a tal mestiere sciolto».
30.109
Ond'ei
rispuose: «Quando tu andavi
30.110 al
fuoco, non l'avei tu così presto;
30.111 ma
sì e
più l'avei quando coniavi».
30.112 E
l'idropico:
«Tu di' ver di questo:
30.113 ma
tu
non fosti sì ver testimonio
30.114
là 've
del ver fosti a Troia richesto».
30.115
«S'io
dissi falso, e tu falsasti il conio»,
30.116
disse
Sinon; «e son qui per un fallo,
30.117 e
tu
per più ch'alcun altro demonio!».
30.118
«Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
30.119
rispuose quel ch'avea infiata l'epa;
30.120
«e
sieti reo che tutto il mondo sallo!».
30.121
«E te
sia rea la sete onde ti crepa»,
30.122
disse
'l Greco, «la lingua, e l'acqua marcia
30.123 che
'l ventre
innanzi a li occhi sì t'assiepa!».
30.124
Allora
il monetier: «Così si squarcia
30.125 la
bocca tua per tuo mal come suole;
30.126
ché
s'i' ho sete e omor mi rinfarcia,
30.127 tu
hai
l'arsura e 'l capo che ti duole,
30.128 e
per
leccar lo specchio di Narcisso,
30.129 non
vorresti a 'nvitar molte parole».
30.130 Ad
ascoltarli er'io del tutto fisso,
30.131
quando
'l maestro mi disse: «Or pur mira,
30.132 che
per
poco che teco non mi risso!».
30.133
Quand'io 'l senti' a me parlar con ira,
30.134
volsimi
verso lui con tal vergogna,
30.135
ch'ancor per la memoria mi si gira.
30.136
Qual è
colui che suo dannaggio sogna,
30.137 che
sognando desidera sognare,
30.138
sì che
quel ch'è, come non fosse, agogna,
30.139 tal
mi
fec'io, non possendo parlare,
30.140 che
disiava scusarmi, e scusava
30.141 me
tuttavia, e nol mi credea fare.
30.142
«Maggior difetto men vergogna lava»,
30.143
disse
'l maestro, «che 'l tuo non è stato;
30.144
però
d'ogne trestizia ti disgrava.
30.145 E
fa
ragion ch'io ti sia sempre allato,
30.146 se
più
avvien che fortuna t'accoglia
30.147
dove
sien genti in simigliante piato:
30.148
ché
voler ciò udire è bassa voglia».
31. 1 Una
medesma lingua pria mi morse,
31. 2
sì che
mi tinse l'una e l'altra guancia,
31. 3 e
poi la
medicina mi riporse;
31. 4
così
od'io che solea far la lancia
31. 5
d'Achille e del suo padre esser cagione
31. 6
prima di
trista e poi di buona mancia.
31. 7 Noi
demmo il dosso al misero vallone
31. 8 su
per
la ripa che 'l cinge dintorno,
31. 9
attraversando sanza alcun sermone.
31. 10
Quiv'era men che notte e men che giorno,
31. 11
sì che
'l viso m'andava innanzi poco;
31. 12 ma
io
senti' sonare un alto corno,
31. 13
tanto
ch'avrebbe ogne tuon fatto fioco,
31. 14
che,
contra sé la sua via seguitando,
31. 15
dirizzò
li occhi miei tutti ad un loco.
31. 16
Dopo la
dolorosa rotta, quando
31. 17
Carlo
Magno perdé la santa gesta,
31. 18 non
sonò sì terribilmente Orlando.
31. 19
Poco
portai in là volta la testa,
31. 20 che
me
parve veder molte alte torri;
31. 21
ond'io:
«Maestro, di', che terra è questa?».
31. 22 Ed
elli
a me: «Però che tu trascorri
31. 23 per
le
tenebre troppo da la lungi,
31. 24
avvien
che poi nel maginare abborri.
31. 25 Tu
vedrai ben, se tu là ti congiungi,
31. 26
quanto
'l senso s'inganna di lontano;
31. 27
però
alquanto più te stesso pungi».
31. 28 Poi
caramente mi prese per mano,
31. 29 e
disse: «Pria che noi siamo più avanti,
31. 30
acciò
che 'l fatto men ti paia strano,
31. 31
sappi
che non son torri, ma giganti,
31. 32 e
son
nel pozzo intorno da la ripa
31. 33 da
l'umbilico in giuso tutti quanti».
31. 34
Come
quando la nebbia si dissipa,
31. 35 lo
sguardo a poco a poco raffigura
31. 36
ciò che
cela 'l vapor che l'aere stipa,
31. 37
così
forando l'aura grossa e scura,
31. 38
più e
più appressando ver' la sponda,
31. 39
fuggiemi errore e cresciemi paura;
31. 40
però
che come su la cerchia tonda
31. 41
Montereggion di torri si corona,
31. 42
così la
proda che 'l pozzo circonda
31. 43
torreggiavan di mezza la persona
31. 44 li
orribili giganti, cui minaccia
31. 45
Giove
del cielo ancora quando tuona.
31. 46 E
io
scorgeva già d'alcun la faccia,
31. 47 le
spalle e 'l petto e del ventre gran parte,
31. 48 e
per
le coste giù ambo le braccia.
31. 49
Natura
certo, quando lasciò l'arte
31. 50 di
sì
fatti animali, assai fé bene
31. 51 per
tòrre tali essecutori a Marte.
31. 52 E
s'ella d'elefanti e di balene
31. 53 non
si
pente, chi guarda sottilmente,
31. 54
più
giusta e più discreta la ne tene;
31. 55
ché
dove l'argomento de la mente
31. 56
s'aggiugne al mal volere e a la possa,
31. 57
nessun
riparo vi può far la gente.
31. 58 La
faccia sua mi parea lunga e grossa
31. 59
come la
pina di San Pietro a Roma,
31. 60 e a
sua
proporzione eran l'altre ossa;
31. 61
sì che
la ripa, ch'era perizoma
31. 62 dal
mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
31. 63 di
sovra, che di giugnere a la chioma
31. 64 tre
Frison s'averien dato mal vanto;
31. 65
però
ch'i' ne vedea trenta gran palmi
31. 66 dal
loco in giù dov'omo affibbia 'l manto.
31. 67
«Raphèl maì
amècche zabì almi»,
31. 68
cominciò a gridar la fiera bocca,
31. 69 cui
non
si convenia più dolci salmi.
31. 70 E 'l
duca mio ver lui: «Anima sciocca,
31. 71
tienti
col corno, e con quel ti disfoga
31. 72
quand'ira o altra passion ti tocca!
31. 73
Cércati
al collo, e troverai la soga
31. 74 che
'l
tien legato, o anima confusa,
31. 75 e
vedi
lui che 'l gran petto ti doga».
31. 76 Poi
disse a me: «Elli stessi s'accusa;
31. 77
questi
è Nembrotto per lo cui mal coto
31. 78 pur
un
linguaggio nel mondo non s'usa.
31. 79
Lasciànlo stare e non parliamo a vòto;
31. 80
ché
così è a lui ciascun linguaggio
31. 81
come 'l
suo ad altrui, ch'a nullo è noto».
31. 82
Facemmo
adunque più lungo viaggio,
31. 83
vòlti a
sinistra; e al trar d'un balestro,
31. 84
trovammo
l'altro assai più fero e maggio.
31. 85 A
cigner lui qual che fosse 'l maestro,
31. 86 non
so
io dir, ma el tenea soccinto
31. 87
dinanzi
l'altro e dietro il braccio destro
31. 88
d'una
catena che 'l tenea avvinto
31. 89 dal
collo in giù, sì che 'n su lo scoperto
31. 90 si
ravvolgea infino al giro quinto.
31. 91
«Questo
superbo volle esser esperto
31. 92 di
sua
potenza contra 'l sommo Giove»,
31. 93
disse
'l mio duca, «ond'elli ha cotal merto.
31. 94 Fialte
ha nome, e fece le gran prove
31. 95
quando
i giganti fer paura a' dèi;
31. 96 le
braccia ch'el menò, già mai non move».
31. 97 E
io a
lui: «S'esser puote, io vorrei
31. 98 che
de
lo smisurato Briareo
31. 99
esperienza avesser li occhi miei».
31.100
Ond'ei
rispuose: «Tu vedrai Anteo
31.101
presso
di qui che parla ed è disciolto,
31.102 che
ne
porrà nel fondo d'ogne reo.
31.103
Quel
che tu vuo' veder, più là è molto,